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Le pietre di Roma raccontano

Itinerario a cura della SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA

Qui a fianco:
Vista dei Fori di Piranesi

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Gli edifici, i monumenti, gli arredi urbani e le strade raccontano molte cose sulla geologia del territorio su cui sorgono le città. Ogni città ha i suoi colori caratteristici, che sono quelli dei materiali usati per le costruzioni ed i rivestimenti. Questo ovviamente vale soprattutto per le nostre città e i nostri paesi che hanno una storia millenaria: fin dalle origini, per comodità, scelta o necessità, i materiali sono stati cercati quanto più vicino possibile ai luoghi di impiego. Roma, un tempo ricca capitale di un vastissimo Impero, fu destinazione dei più pregiati “marmi colorati”. Poi i  Papi e i nobili reimpiegarono gli stessi “marmi“ recuperati dalle costruzioni della Roma imperiale per abbellire chiese e palazzi. Tra le strade e i vicoli della Città, accanto alle tinte calde degli intonaci romani, negli scorci urbani rimangono comunque caratteristici il bianco del travertino, il giallastro e il grigio dei tufi, il rosso dei mattoni.

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Le “pietre di Roma” raccontano, della Città e dei suoi dintorni, una storia che percorre, a grandi “balzi”, un intervallo di tempo lungo circa 4 milioni di anni che inizia ben prima della nascita della città.

Abbiamo diviso questa lunga storia in alcune fasi:

 

 

I - Prima di Roma: il mare Pliocenico

Circa 3.5 milioni di anni fa (durante il Pliocene) nell’attuale fascia costiera tirrenica dove sorgerà e si svilupperà la città di Roma si estendeva un vasto mare relativamente profondo da cui emergevano poche isole come il Monte Soratte, i Monti Cornicolani, o il Circeo. La linea di costa correva lungo il bordo dei rilievi montuosi degli attuali Monti Sabini, Lucretili e Prenestini.

In questo mare si depositarono i sedimenti prevalentemente fini che costituiscono la formazione  di Monte Vaticano comunemente conosciuta con il nome di Argille Azzurre. Queste argille sono state utilizzate, fino a tempi molto recenti, per costruire i mattoni così diffusi nella città di Roma. Le principali fornaci, nelle quali lavorarono generazioni di “fornaciari”, erano ubicate nella Valle Aurelia; qui i loro resti sono ancora visibili come veri ”monumenti industriali”

Nel Pleistocene inferiore (circa 1.6 -1.5 milioni di anni fa), al di sopra delle “Argille azzurre” in un mare ormai poco profondo, si depositò la “Formazione di Monte Mario” alla cui base sono presenti sabbie con ricche faune a molluschi tra cui l’Arctica islandica che è un bivalve di mari freddi migrato nelle nostre regioni in concomitanza con le glaciazioni

 

II - Prima di Roma: i paesaggi vulcanici

Frey Johann Jakob, Vista di Roma dal Monte Mario, 1858Negli ultimi 600.000 anni, per il progressivo ritiro della linea di costa verso la sua posizione attuale, la futura “campagna romana” è ormai un paesaggio pianeggiante o collinare, dominato da alcuni edifici vulcanici. Per immaginare questo paesaggio guardiamo il dipinto di Johann Jakob Frey del 1858 che mostra Roma e la valle del Tevere con lo sfondo del Vulcano dei Colli Albani: la città e le presenze “umane” si confondono abbastanza bene con il paesaggio naturale.

I vulcani, per il loro fascino di viva montagna di fuoco e per la ricchezza dei suoli, da sempre hanno attirato l’attenzione dell’uomo. Lo hanno costretto spesso ad una pericolosa convivenza ed hanno stimolato l’interesse degli studiosi a interpretare la loro natura e  il  “fuoco” che li origina.

Ecco come Athanasius Kircher, gesuita e grande protagonista della cultura naturalistica secentesca, nel suo “Mundus subterraneus” (1664), immaginava il fuoco che dall’interno della Terra, attraverso camere sempre più vicine alla superficie, alimentava i vulcani.

Oggetti dell’antico Museo Kircheriano sono oggi in diversi Musei dell’Università “La Sapienza”.

I Colli Albani, con il Monte Cavo e i Campi di Annibale, ricchi di boschi e sorgenti, con le loro leggende, i terreni ubertosi, i vini e le “fraschette” sono ciò che resta di un antico grande edificio vulcanico.

 Tufo rosso a scorie nere, campione Museo Pozzolane nere, campione Museo Tufo lionato, campione Museo Lava Capo di Bove , campione Museo

Roma sorgerà proprio dove i tufi e le lave dei vulcani dei Colli Albani, a sud-est, e dei Monti Sabatini, a nord-ovest, si incontrano.

Molti di questi materiali vulcanici sono stati per gli antichi Romani una delle principali fonti di approvvigionamento per la costruzione di palazzi, templi e strade.

Tra i materiali più usati, il “Tufo giallo della via Tiberina” (una ignimbrite di circa 550.000 anni fa) e il Tufo rosso a scorie nere” (una ignimbrite di circa 430.000 anni fa)  proveninti dai vulcani Sabatini).

Appartenenti al distretto vulcanico dei  colli Albani sono invece le “Pozzolane nere” (una colata piroclastica di circa 407.000 anni fa), il “Tufo lionato” (una colata piroclastica la cui datazione varia da 338.000 a 357.000 anni fa) e la lava di “Capo di Bove” (di circa  280.000 anni fa).

Il lago di Albano visto dal satellite Proba (foto: ESA)Circa 40.000 anni fa si verificarono le ultime violente esplosioni dei Colli Albani che portano alla formazione degli attuali laghi di Albano, Nemi e Ariccia (notissime mete delle gite “fuori porta” dei Romani vecchi e nuovi).

A questa ultima fase esplosiva appartiene il tufo noto come “Peperino albano” (una ignimbrite freatomagmatica di circa 36.000 anni fa).

Deve il suo nome alla presenza di tanti piccoli cristalli neri  (pirosseno e biotite) che somigliano a grani di pepe.

Peperino albano, campione Museo

III - I Sette Re e la Roma repubblicana

Area sacra a Largo Argentina

Un tratto di Mura Serviane a Largo Magnanapoli

Il 21 Aprile del 753 a. C. comincia la lunga storia di Roma: la città avvertì subito la necessità di circondarsi di mura difensive sempre più solide. Sui terrapieni e muraglioni del VI a. C. dei Re Tarquinio Prisco e Servio Tullio si sovrapposero (nel IV secolo a. C.) le così dette “mura serviane”: una imponente cinta muraria di  circa 11 km costruita con blocchi di “Tufo giallo della Via Tiberina” (del vulcano Sabatino)

Numerosi resti di queste mura sono sparsi nel cuore di Roma  come il lungo tratto visibile accanto alla Stazione Termini e, ad esempio, quello non lontano dal Quirinale, a Largo Magnanapoli.

Con il tempo nella città si innalzarono edifici e templi agli Dei sempre più imponenti e si costruirono ponti. Per queste costruzioni si utilizzarono blocchi “Peperino albano”, “Tufo lionato” e “Tufo rosso a scorie nere”.

Nell’Area sacra a Torre Argentina ci sono diversi templi riferiti al III e al II secolo a. C.; una delle are sacrificali  più vecchie è proprio in "peperino albano", mentre per il più recente gruppo di colonne disposte a semicerchio è stato usato il “tufo lionato”.

Nell’antico Pons Anienis (Ponte Salario) i resti ancora visibili della struttura romana, probabilmente risalente all’epoca repubblicana, sono i due archi laterali con paramenti in blocchi di tufo rosso a scorie nere.

Nel tempo una rete sempre più fitta di strade unì la Città con le sue province; le pavimentazioni a grandi blocchi sono tuttora riconoscibili in numerose località della penisola.

Lungo la Via Appia antica, una delle  consolari più note, sono ancora  ben visibili i classici “basoli” costituiti da blocchi, grossolanamente squadrati, di roccia nerastra; si tratta di una lava compatta del vulcano dei Colli Albani con cui venivano costruiti anche i più noti “sanpietrini”. Questo materiale derivava in gran parte dalle cave aperte nella colata lavica di Capo di Bove che, dal vulcano dei Colli Albani, arriva fino alle porte di  Roma.

IV - Roma imperiale

Gli imperatori romani per rendere più fastosa la Città non si accontentano più del materiale cavato nel territorio vicino  ma fanno di Roma anche il centro di arrivo di splendidi “marmi” usati per erigere archi, templi, colonne e per decorazione. Per decorazioni ricche e particolareggiate in monumenti celebrativi, fu usato il “marmor lunensis” che è il più puro marmo bianco di Carrara.

I bassorilievi della Colonna Traiana e le decorazioni dell’Arco  di Costantino sono proprio in  “marmor lunensis”.

Marmo lunense, campione Museo Colonna Traiana Arco di Costantino

Per le colonne del grande complesso monumentale del Foro di Traiano furono utilizzati blocchi di granito  (“Granito del Foro”), proveniente dal deserto orientale egiziano. Della stessa roccia sono le due grandi vasche, delle Terme di Caracalla successivamente riutilizzate per le attuali fontane gemelle di Piazza Farnese.

Della maggior parte dei” marmi colorati” dei Romani nella Città si possono vedere ancora splendidi esempi, anche di riutilizzazione in tempi successivi, come  del così detto “Marmo africano” (qui sotto, sulla sinistra). Oppure anche del bellissimo “Giallo antico" (o marmo di Numidia - qui sotto, sulla destra) di cui sono fatte le grandi colonne all’interno del Pantheon.

Porticato della chiesa di S. Cecilia, le cui colonne laterali sono in

Anche il Granito rosso di Assuan è stata una roccia particolarmente amata dai romani e, prima di loro, dagli egiziani a partire dalla prima dinastia. Uno degli impieghi che lo rese più conosciuto era la fattura degli obelischi. L’obelisco Lateranense, che domina la piazza di S. Giovanni in Laterano, fu trasportato a Roma dall’imperatore Costantino.

Anche il il piccolo obelisco (qui all'estrema destra, con lo sfondo della cupola del Pantheon) collocato da Bernini su un basamento a forma di elefante è realizzato nello stesso materiale.

Altro materiale  frequentemente utilizzato dai Romani furono le pozzolane, sia come inerti per la preparazione di malte e sia per “alleggerire” alcune strutture di copertura come la grande cupola del Pantheon. Parte delle pozzolane proveniva dall’unità  delle “Pozzolane nere” del distretto vulcanico Albano.

 

Pavimento cosmatesco nella chiesa di S. Alessio Porfido rosso, campione Museo Porfido verde antico, campione Museo

V - Roma medievale e dei Cosmati

I “marmi” più resistenti e durevoli sono stati usati per gli splendidi e variegati pavimenti a intarsio, sia negli edifici in epoca romana (“opus sectile”), sia nelle basiliche cristiane romaniche fino al XV secolo.L’arte “cosmatesca” è così chiamata dal nome di famosi marmorari romani (appartenenti a diverse generazioni e a varie famiglie) che, soprattutto nei secoli XII e XIII, riutilizzarono i marmi dell’antica Roma per creare composizioni geometriche di grande fascino nei pavimenti e nei chiostri delle chiese.

Il Porfido rosso e il Porfido verde antico sono  elementi essenziali utilizzati ad esempio nelle “rotae” del pavimento  della chiesa di S. Alessio.

VI - Roma dei Papi

Porta Santa di S. Pietro con gli stipiti rivestiti di marmo Portasanta colonna in marmo Cipollino nella chiesa di S. Clemente marmo Cipollino, campione Museo Portasanta, campione Museo

Le rovine di Roma antica continuarono ad essere usate come un’immensa e ricchissima cava da cui per secoli i marmorari estrassero marmi policromi per ornare chiese e monumenti edificati per celebrare anche i fasti della Roma dei Papi.

Il “marmo” noto come Portasanta (“Marmo di Chio” dei Romani) rappresenta forse il simbolo maggiore della Roma dei Papi. Con questa roccia sono infatti ricoperti gli stipiti della Porta Santa (da cui appunto deriva il nome del marmo) presente  in ognuna delle  quattro maggiori Basiliche di Roma.

Sempre in questo periodo, molto usato e apprezzato è anche il Marmo cipollino, con il quale sono state costruite molte colonne riutilizzate nelle chiese della Città.

Marmo Cottanello, campione Museo

A partire dal XVII secolo, quando si andavano esaurendo le riserve di materiali riutilizzabili forniti dalle rovine dell’antica Roma, divenne più concreta la necessità di rinvenimento e sfruttamento di “marmi” di cave moderne. Ne è  un esempio  il “marmo Cottanello” che, anche se già estratto in epoca romana, è stato poi ampiamente utilizzato per gli arredi interni di molte chiese barocche romane. Grandi colonne all’interno della Basilica di S. Pietro sono state realizzate con questa roccia.

 

VII - Roma capitale del Regno d’Italia

Lungotevere Marzio Granito di Baveno, campione Museo Gneiss occhiadino, campione Museo Monumento a Vittorio Emanuele II realizzato in marmo Botticino

 

Quando, dopo il 20 settembre 1870, con l’entrata delle truppe italiane attraverso la “breccia” di Porta Pia, Roma divenne capitale del Regno d’Italia, la Città conobbe un nuovo processo di sviluppo urbanistico e, con esso, ci fu una “ripresa” nell’utilizzazione di rocce “estranee” alla tradizione locale.

I parapetti dei grandi muraglioni costruiti per irregimare e controllare il corso del Tevere sono infatti di Granito di Baveno che è una roccia di provenienza piemontese (sulle sponde occidentali del Lago Maggiore).

Lastre di Gneiss occhiadino, di  provenienza alpina, sono state inoltre utilizzate per la pavimentazione stradale di Via del Corso.

Anche per il grande monumento a Vittorio Emanuele II, è stata ampiamente usata una roccia bianchissima proveniente dalla zona del bresciano, in Lombardia, nota come “Botticino”.

Botticino, campione Museo

VIII - Il Ventennio fascista

Durante il ventennio fascista Roma subì una nuova “rivoluzione architettonica” con estese demolizioni accompagnate a grandi opere architettoniche.

Il travertino (Lapis tiburtinus di Tivoli), chiamato la “pietra dell’Impero”,  fu tra i materiali più utilizzati. La sua resistenza, la facilità di lavorazione, il suo omogeneo nitore,  l’autarchica economicità e vicinanza alla capitale ben si adattavano alle geometriche essenzialità dell’architettura dell’epoca.

Particolarmente nota agli studenti romani è la Città Universitaria, progettata dall’Architetto Marcello Piacentini e inaugurata nel 1935. Sono di travertino i rivestimenti dell’Ingresso monumentale e  degli edifici che si affacciano sulla piazza della Minerva dominata dal palazzo del Rettorato. Tra questi figura l’edificio di Geologia e Mineralogia progettato da Giovanni Michelucci che ospita anche il Museo di Geologia.

 
Palazzo del Rettorato della Sapienza, Università di Roma foto d'epoca dell'edificio Geologia-Mineralogia Travertino, campione Museo

 


Testo e immagini: Laura Corda e Goffredo Mariotti

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