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Dal Mare al Colosseo: storie di paesaggi, di animali e di uomini

Itinerario a cura della SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA

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Fermarsi, guardare, domandarsi il perché, capire. Forse non abbiamo più tempo (o forse voglia?) di farlo. Percorriamo strade ed autostrade maledicendo il traffico, il tempo, il lavoro senza vedere il presente, senza percepire il passato. Eppure il paesaggio con le sue forme, frutto della plurimillenaria azione delle forze della Terra, le rocce, i fossili che queste racchiudono sono in grado di raccontarci storie incredibili, possono proiettarci in scenari fantastici…. e la Valle del Tevere si trasforma in un mare profondo, nubi ardenti scivolano nelle valli, foreste pluviali lasciano il posto a praterie arborate dove vive una fauna “esotica” ora scomparsa.

Questo percorso vuole proporre una sequenza dinamica di antichi scenari, raccontando la storia di un paesaggio in evoluzione attraverso la testimonianza dei resti fossili conservati (carnivori, elefanti, rinoceronti, ippopotami, cervi giganti e non, bisonti, uri etc) ed esposti nel Museo di Paleontologia e offrire una panoramica degli ambienti che si sono susseguiti tra circa 5 milioni e 10.000 anni fa. In particolare, vuole illustrare il mutare dei paleo-ambienti terrestri nell’area geografica che è oggi occupata dalla media e bassa valle del Tevere e nel bacino di Roma a partire dal Pliocene superiore, quando il gioco della tettonica aveva portato il mare a ritirarsi e a lambire le pendici di una neonata catena appenninica, quando il clima era ancora caldo e umido, e foreste lussureggianti si estendevano in prossimità di zone paludose abitate da tapiri e proboscidati primitivi... ma questo mondo stava già cambiando… la linea di costa si allontanò sempre più, e vennero i fiumi, i vulcani, il Tevere cambiò il suo corso, nuovi mammiferi, giunti nel tempo dall’Asia, dall’Africa e dal subcontinente indiano popolarono questi territori testimoniando con la loro presenza l’evolversi del clima e del paesaggio fino a raggiungere la configurazione odierna (Figura 1).


Figura 1 - Rappresentazione schematica dei principali corpi rocciosi del Lazio visti da alta quota, da sud verso nord.

Assetto attuale della Campagna Romana

Quattro milioni di anni fa, nella Campagna Romana, si estendeva un mare poco profondo, che lambiva le pendici della catena appenninica e da cui emergevano piccole isole allungate in direzione appenninica, che oggi, del tutto emerse, costituiscono i modesti rilievi del Monte Soratte e dei Cornicolani. Il mare, tuttavia, era già in progressivo ritiro anche in conseguenza del sollevamento generale dell’area causato da movimenti tettonici (Figura 2).


Figura 2 -  Bloccodiagramma che illustra la paleogeografia del Lazio centrale tra 3,5 e 2 milioni di anni fa. (disegno di M. e R. Parotto). In primo piano, l’allineamento di zone di mare di colore più chiaro indica la presenza di bassi fondali in corrispondenza di alti strutturali, Ciampino, Tor di Quinto-Monte Mario, Cesano e Martignano (Lago di Bracciano orientale). La sezione frontale del blocco-diagramma taglia l’alto strutturale di Castel di Guido. 

Quattro milioni di anni fa inizia una storia che vedrà il profondo mutare del paesaggio e della vita: nel corso del tempo, dove c’era il mare troveremo terre emerse solcate da corsi d’acqua, foreste e praterie. I dati che ci permettono di ricostruire la successione e la dinamica degli eventi sono registrati nelle rocce, nelle sequenze e successioni sedimentarie che affiorano in quest’area.

Nel corso del tempo nuovi strati si accumulavano gli uni sugli altri, come giornali lasciati giorno dopo giorno in una pila ordinata, e, così come sfogliando giornali sempre più vecchi possiamo ricostruire l’evolversi dei fatti di cronaca, così osservando gli strati possiamo leggere “notizie”, trovare informazioni che ci consentono di dedurre e ricostruire una “storia” a volte complessa, ma tale da permetterci di mettere in relazione con il tempo geologico eventi climatici, paleomagnetici, di deposizione di successioni sedimentarie, attività vulcanica, variazioni della flora e della fauna.

 Tra 3 e 1,5 milioni di anni fa

Figura 3 - Ricostruzione artistica di un paesaggio di circa 3 milioni di anni fa in una zona paludosa alle pendici dei Cornicolani. (disegno S. Maugeri) 

Proseguiamo il nostro cammino nel tempo ed osserviamo come circa 3 milioni di anni fa la linea di costa, ossia il limite tra il dominio marino e le terre emerse, si trovasse a circa 240 metri di quota presso Palombara Sabina (Roma).

Nelle zone costiere si estendevano piccoli bacini lacustri; il clima, caldo e umido, consentiva lo sviluppo di una vegetazione densa e lussureggiante, di tipo subtropicale dominata, tra le essenze arboree, dalle Taxodiacee tra cui le sequoie.

Nelle zone paludose a ridosso della costa (Figura 3), l’accumulo dei resti vegetali ha dato luogo a depositi di lignite nei quali sono stati trovati, due secoli fa, i resti di alcuni degli animali che popolavano il territorio, fra questi tapiri ormai estinti (Tapirus arvernensis) e proboscidati primitivi (Anancus arvernensis).

Un profondo cambiamento avvenne in corrispondenza del raffreddamento climatico dei 2,6-2,5 milioni di anni, che interessò l’intera superficie terrestre, in ambiente sia marino sia continentale, e che segna l’inizio del periodo Quaternario (ovvero quella che un tempo era detta “Era Glaciale”).

Questa variazione climatica di portata globale causa delle significative modificazioni nella struttura delle comunità vegetali ed un sensibile cambiamento nella fauna, determinato dall’arrivo di forme adattate a climi meno caldi, più aridi e a spazi aperti (p. e. i primi rappresentanti del genere Mammuthus e i cavalli stenonoidi) che, dall’Asia, estendono progressivamente il loro areale verso latitudini più meridionali, soppiantando le forme più strettamente legate a condizioni climatiche più calde ed umide. Il rinnovo faunistico interessa prima la componente degli erbivori e poi quella dei carnivori con l’arrivo di più specie di canidi, di felidi simili ai giaguari ed una iena, Pachycrocuta brevirostris, di grande taglia, dal muso raccorciato e dalla dentatura in grado di spezzare ossa di grandi mammiferi.

Nella Campagna Romana, malgrado le nuove terre emerse non sono stati fino ad ora scoperti resti di mammiferi sicuramente attribuibili al un lungo intervallo di tempo che copre il Villafranchiano medio e gli inizi del Villafranchiano superiore, ma un’idea del popolamento animale di circa 2 milioni di anni fa ci è dato dalla fauna scoperta nel Lazio meridionale a Coste San Giacomo, vicino ad Anagni, dove sono stati rinvenuti mammuth meridionali, mastodonti, tigri dai denti a sciabola, iene rinoceronti e grandi cervi.

 Tra 1,5 e 0,8 milioni di anni fa

Le antiche linee di costa ben preservate e osservabili lungo il margine occidentale del Pre-appennino Umbro-Sabino (dorsali montuose dei Monti Amerini, Monti di Narni, Monti Sabini, Monti Lucretili e Monti Cornicolani), indicano come il progressivo ritiro relativo del mare sia ancora in atto, l’alto strutturale di Monte Mario è in sollevamento L’antico corso del Tevere passa a Ovest del M. Soratte e raggiunge la costa con un ampio delta nell’attuale area di Magliana-Ponte Galeria (Figura 4).


Figura 4 - Bloccodiagramma che illustra la paleogeografia del Lazio centrale tra 1,5 e 0,8 milioni di anni fa.

Figura 5 - Ricostruzione artistica di un ipotetico paesaggio della valle del Tevere di circa 1,4-1,0 milioni di anni fa, popolato da mammut dalle zanne moderatamente ricurve (Mammuthus meridionalis), equidi ad arti snelli (Equus altidens), cervidi di media taglia (Pseudodama eurygonos) e bisonti primitivi (Bison degiulii). (disegno di S. Maugeri)

Il continuo alternarsi di fasi climatiche (con accentuazione delle alternanze di periodi umidi e aridi in un clima globale, che tendeva a divenire globalmente meno caldo), ed il mutare della vegetazione favorirono eventi di dispersione e di evoluzione locale di vari grandi mammiferi (Figura 5). Nella Campagna Romana, un dente di Mammuthus meridionalis è stato trovato nelle sabbie di origine marina affioranti a Monte Mario, e sono segnalati per la prima volta un bisonte primitivo di taglia piuttosto piccola (Bison degiulii) (Capena), nonché cavalli stenonoidi ad arti snelli (Equus altidens), rinoceronti (Stephanorhinus hundsheimensis) e grandi ippopotami (Hippopotamus antiquus) trovati, ad esempio, negli anni ’50 nelle ghiaie della cava Redicicoli (Roma).

 Tra 0,8 e circa 0,5 milioni di anni fa

Con la fine del Pleistocene Inferiore, prende l’avvio una nuova fase climatica: le oscillazioni glaciali/integlaciali si fanno più prolungate e intense, la ciclicità passa di circa 41.000 a circa 100-125.000 anni. Intorno a 850.000 anni, la diminuzione delle temperature medie e l’aumento dell’aridità segnano l’avvio di una importante fase di rinnovo delle faune a mammiferi, ma anche la paleogeografia dell’area della Campagna Romana subisce cambiamenti significativi. L’accentuarsi del sollevamento dell’alto strutturale di Monte Mario e, probabilmente, di Cesano fanno deviare verso Sud-Sud Est l’antico corso del Tevere, che, con il nuovo percorso, riorganizza i reticoli fluviali dell’ampia fascia pedemontana, mentre più a Sud, la valle del Paleo-Sacco si apre dai Simbruini –Ernici verso Nord-Ovest (Figure 6 e 7). Già a partire da circa 0,8 milioni di anni, la progressiva messa in posto dell’apparato vulcanico dei Sabatini e, successivamente l’attività vulcanica del vulcano dei Colli Albani, determinano una variazione del corso del Tevere e del Sacco.


Figura 6 - Bloccodiagramma che illustra la paleogeografia del Lazio centrale tra 0,8 e 0,6 milioni di anni fa.


Figura 7 - Schema paleogeografico e modello deposizionale dell’area di Ponte Galeria. (modificato da Milli et al. 2004 – Guida all’escursione pre-congresso, II Congresso GeoSed)

Figura 8 - Ricostruzione artistica di un ambiente di prateria arborata della Campagna Romana nel Pleistocene Medio inferiore, abitata da grandi carnivori (Crocuta crocuta), elefanti (Mammuthus trogontherii), rinoceronti (Stephanorhinus hundsheimensis) e cervidi di grande mole (Praemegaceros verticornis). (disegno S. Maugeri)

Con la fine del Pleistocene Inferiore nuovi protagonisti si affacciano sulla scena (Figura 8). Il clima, più fresco e arido specie nelle fasi glaciali, consente la diffusione fino all’attuale zona costiera roditori boreali simili agli attuali lemming dell’artico (Dicrostonyx) e delle steppe (Prolagurus). Con il passaggio al Pleistocene Medio inferiore, fecero la loro comparsa nella Campagna Romana, tra gli altri, grandi carnivori quali la iena macchiata (Crocuta crocuta), i primi veri cinghiali (Sus scrofa priscus), poderosi bufali dalle corna carenate (“Hemibos” galerianus), argali (Ovis ammon antiqua) e cervidi di grande taglia, (Praemegaceros verticornis, Megaloceros savini) insieme a daini di grande taglia dalle corna palmate (Dama clactoniana) e agli antenati del cervo nobile (Cervus elaphus acoronatus) e del capriolo (Capreolus capreolus suessenbornensis). Estesero il loro areale alle zone costiere anche due proboscidati caratterizzati da morfologia e adattamenti diversi: Mammuthus trogontherii, e Palaeoloxodon antiquus. Il primo, con l'estendersi degli ambienti di steppa-prateria a lui più congeniali, ampliò dall’Asia il suo areale verso latitudini più meridionali e verso occidente. Il secondo, meno adattato a climi freddi, raggiunse l’Europa meridionale e l’area mediterranea dall’Africa, attraverso il corridoio levantino. E sarà proprio l’elefante antico, una della specie più diffuse nella nostra regione dove sopravviverà per oltre 700.000 anni, fino alle fasi fredde dell’ultimo glaciale.

 Tra circa 0,50/0,45 e 0,13 milioni di anni fa

Nella Campagna Romana, resti di mammiferi rinvenuti in depositi la cui età è compresa tra circa 0,5 e 0,130 milioni di anni fa) sono numerosi, ed in genere ben datati in quanto la presenza di livelli vulcanoclasti ne consente un preciso inserimento cronologico (Figura 9).


Figura 9 - Bloccodiagramma che illustra la paleogeografia del Lazio centrale tra 0,6 e 0,5 milioni di anni fa.

Tra i resti più antichi, un palco di Cervus elaphus eostephanoceros trovato nei livelli vulcanici affioranti a Cava Nera Molinario e la fauna a Palaeoloxodon antiquus, Bos primigenius e cervidi dei livelli piroclastici pedogenizzati di Palombara Sabina (Roma).

Con il progressivo mitigarsi degli interglaciali, che caratterizza l’area mediterranea a partire da circa 400.000 anni fa, la valle del Tevere con le sue terre fertili, la ricca vegetazione, i piccoli bacini lacustri, diviene un ambiente particolarmente idoneo al prosperare di una fauna ricca e diversificata e ad ospitare, verosimilmente, un numero crescente di gruppi umani (Homo heidelbergensis)

Scomparse la maggior parte delle specie che avevano caratterizzato le fasi precedenti, accanto agli ultimi pachidermi, compaiono nuove specie fra cui alcuni antenati delle specie attuali quali il lupo, il cervo, il daino. L’ambiente era vario e diversificato, elefanti, buoi, rinoceronti e daini abitavano praterie arborate che, con l’istaurarsi di condizioni climatiche più fresche ed aride assumevano un aspetto di prateria-steppa popolata anche da mandrie di cavalli, leoni e nuovi mammut più simili a quelli che caratterizzeranno l’ultimo glaciale. Le foreste aperte a caducifoglie ospitavano megaceri dalle imponenti corna (Megaloceros giganteus, noto anche come “alce irlandese”), caprioli, cervi e cinghiali, lupi, linci, leopardi e orsi delle caverne (Ursus spelaeus). Negli specchi e corsi d’acqua, che richiamavano una ricca avifauna acquatica, si bagnavano gli ippopotami (Figura 10).


Figura 10 - Ricostruzione artistica della valle del Tevere nel Pleistocene medio superiore. Elementi caratteristici della fauna sono l’elefante antico (Palaeoloxodon antiquus), l’uro (Bos primigenius), cervi (Cervus elaphus), e daini (Dama clactoniana), spesso accompagnati da ippopotami (Hippopotamus amphibius), e rinoceronti (Stephanorhinus hemitoechus).  Resti di lupo (Canis lupus) e volpe (Vulpes vulpes) sono spesso presenti nei depositi fossiliferi, mentre quelli dei grandi carnivori quali la iena macchiata (Crocuta crocuta) ed il leone (Panthera spelaea), o delle bertucce (Macaca sylvanus) sono rari. Nell’avifauna dominano gli anatidi e gli anseridi. (disegno S. Maugeri)

Figura 11 Ricostruzione artistica della valle del Tevere durante l’ultimo interglaciale. In questo periodo il clima è particolarmente mite, come documentato da una ricca flora mediterranea con lecci, zelkove e ulivi. L’elefante antico (Palaeoloxodon antiquus), e l’uro (Bos primigenius), continuano ad essere le specie dominanti, è ancora presente il cervo irlandese (Megaloceros giganteus), ma i grandi carnivori, quali il leopardo (Panthera pardus), sono sempre rari o assenti nel record fossile. (disegno S. Maugeri)

 L’ultimo interglaciale

La struttura delle comunità a mammiferi dell’ultimo interglaciale, tra circa 130 e 70 mila anni fa si mantiene simile a quelle dell’interglaciale precedente anche se le condizioni climatiche sono, almeno inizialmente, di poco più calde.

Il riscaldamento raggiunge il suo picco intorno a 125 mila anni fa, la Valle del Tevere con le sue terre fertili, la ricca vegetazione, le aree acquitrinose lungo le sponde del fiume, diviene un ambiente particolarmente idoneo al prosperare di una fauna ricca e diversificata, non molto dissimile da quella che aveva caratterizzato i due interglaciali precedenti (Figura 11).Gli ultimi pachidermi, elefanti e rinoceronti, ma anche daini moderni erano presenti nelle zone prative erborate, mentre nelle aree più aperte vivevano mandrie di cavalli, leoni e iene. Nelle zone più interne e specie lunghe le brevi valli degli affluenti del Tevere, si estendevano foreste aperte a caducifoglie che ospitavano non solo megaceri giganti, caprioli, cervi e cinghiali, ma anche lupi, linci, leopardi ed orsi, mentre nelle fasi più fresche, la valle del Tevere era abitata anche da specie di steppa quali il Mammuthus trogontherii.

 L’ultimo glaciale, L’assetto paleogeografico

L’ultima e prolungate fase di raffreddamento climatico che chiude il Pleistocene (in realtà costituita da due stadi freddi-glaciali intervallati da un interglaciale in cui le temperature di mantengono basse) determina il più esteso abbassamento del livello del mare (circa 110 m). Il Tevere può quindi incidere una valle molto ampia e profonda, estesa dal Gianicolo al Pincio, ove sorgerà la città di Roma (Figura 12).


Figura 12 Aspetto della morfologia dell’area romana durante il basso stazionamento del mare nell’ultima fase glaciale (Würm).

Quando le condizioni climatiche si fanno più fredde e aride, la fauna che popola la valle del Tevere si modifica: la componente faunistica temperata-calda subisce una drastica riduzione con la scomparsa, in tempi successivi, di ippopotamo, elefante antico e rinoceronte delle praterie, mentre nuovi protagonisti si affacciano all’orizzonte. Lo stambecco ed il camoscio, popolano i rilievi anche a quote relativamente basse e si spingono fino alle zone di pianura, dove vivono mandrie numerose di buoi ed il piccolo equide, Equus hydruntinus (Figura 13).


Figura 13 Ricostruzione artistica della valle del Tevere durante l’ultimo glaciale. In questo periodo il clima è più freddo dell’attuale, e le foreste a conifere si estendono fino alle pianure alle pendici dei rilievi, dove sono presenti anche specie montane come stambecchi e camosci. I pachidermi progressivamente scompaiono. (disegno S. Maugeri)

Il cervo nobile è frequente, più raro è l’”alce irlandese”. Fra i carnivori lupi e iene macchiate sono le specie più segnalate, ma fa la sua sporadica comparsa anche uno dei più aggressivi predatori delle foreste boreali, il ghiottone (Gulo gulo), segnalato nella bassa valle dell’Aniene alle porte di Roma, mentre i mammut (Mammuthus primigenius) e il rinoceronte lanoso (Coelodonta antiquitatis) abitano anche zone prossime al mare (Monte Circeo) (Figura 14).

Figura 14 Ricostruzione artistica delle pianure durante l’ultimo glaciale. Il ghiottone (Gulo gulo), i mammut (Mammuthus primigenius) e il rinoceronte lanoso (Coelodonta antiquitatis) sono i tipici rappresentanti della fauna in condizioni climatiche fredde ed aride. (disegno S. Maugeri)

 Verso l’epoca moderna

A partire da circa 10.000 anni fa, i ghiacci si ritirano e il livello del mare si stabilizza. Il Tevere modifica lentamente le sue anse fino a scorrere là, dove siamo abituati a vederlo scorrere oggigiorno.

Circa 10.000 anni fa, la piana alluvionale del Tevere è limitata da un lato dal rilievo Gianicolo - M. Mario, e dall’altro dai resti del margine settentrionale del tavolato vulcanico albano, articolato dall’erosione in vari rilievi, tra i quali i famosi Sette Colli (Figura 15).


Figura 15 Aspetto dell'area di Roma circa 10.000 anni fa, prima delle modifiche introdotte dall'attività antropica. La piana alluvionale del Tevere è limitata da un lato dal rilievo Gianicolo - M. Mario e dall'altro dai resti del margine settentrionale del tavolato vulcanico albano, articolato dall'erosione in vari rilievi, tra i quali i famosi Sette Colli. (disegno di M. e R. Parotto)

  


Testo: Maria Rita Palombo, Caterina Giovinazzo

Immagini: Stefano Maugeri, ricostruzioni artistiche dei paleoambienti - www.stefanomaugeri.it

Bloccodiagrammi: Maurizio Parotto in: Parotto M. (2008), Evoluzione paleogeografica dell’area romana: una breve sintesi, in Funiciello R., Praturlon A., Giordano G. (Editors) – La geologia di Roma dal centro storico alla periferia. Memorie descrittive dalla carta geologica d’Italia, Vol. LXXX. APAT, Servizio geologico d’Italia, Roma.

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