---

Storia dell’acqua nel Bacino Padano: applicare il pensiero paesaggistico

Itinerario a cura dell'UNIVERSITÀ DI MODENA E R. EMILIA

Vai a:  TUTTI I PAESAGGI  ||  HOMEPAGE

La zona settentrionale dell’Italia – delimitata dalle Alpi e dalla porzione ligure-emiliano-romagnola dell’Appennino – è assimilabile ad un catino aperto da un lato, quello orientale. Aspetto caratteristico di quest’area – sovrapponibile in buona misura all’attuale pianura padano-veneta - è la presenza dell’acqua, che nel corso delle diverse fasi storiche ha segnato in maniera determinante questo territorio. Importanti e significativi reperti e collezioni museali consentono di ripercorrere da vicino una storia di milioni di anni e di comprendere l’attuale configurazione di quest’area. Si viene così immersi in un percorso storico-geografico – dal pleistocene all’attualità, dall’alto Appennino alla bassa pianura – a partire dai reperti e grazie ad un continuo rimando nei territori, sia in modo virtuale che fisico tramite specifici percorsi.

Dal Territorio al Museo

La ri-collocazione nel territorio di provenienza dei reperti e delle collezioni costruisce essa stessa la trama del percorso, guida il visitatore coinvolgendolo nel processo stesso di connessione con i luoghi di origine e di riferimento. I reperti – dai fossili di Echinidi ai modelli di pompe – rimandano al ‘luogo’ e al perché della loro esistenza, naturale o umanamente costruita che sia. Questo itinerario vuole essere innanzitutto uno stimolo ed una guida alla scoperta dei contesti, vissuta come esperienza da parte del visitatore, soggetto attivo di un processo conoscitivo e di apprendimento che dal museo porta al territorio e ritorna al museo. Perché ricollocare un reperto (es. fossile marino) non significa tanto tornare nel luogo da dove proviene (es. Appennino) ma ‘immaginare' il contesto che ne è all'origine in termini spaziali e temporali (il catino padano coperto di acqua) e, con pensiero paesaggistico creativo, guardare dall'alto il catino e vedere il mare coprente di allora ... e poi la glaciazione ... e poi la pianura paludosa... e la pianura di adesso, grazie alla bonifica, di cui si colgono i 'segni' che compongono l'immagine di quel territorio.

Con questo percorso si propone al visitatore una esperienza di apprendimento che combina la presentazione contestualizzata delle collezioni presenti nel museo con la ri-collocazione territoriale diretta tramite una immersione fisica e culturale nel territorio di provenienza del reperto, un ‘tornare nel territorio’ per ricollocare de visu il reperto esaminato e da qui scoprire il territorio ampliando lo sguardo sul contesto – fatto di natura e di cultura – di cui era parte.  Si tratta di una sorta di processo di “grandangolatura”, dal micro al macro, dal reperto al territorio in cui era inserito e di cui era parte o prodotto della comunità ivi insediata della cui evoluzione oggi cogliamo e interpretiamo gli effetti.

Il ruolo dei reperti è fondamentale e una valenza determinante è assunta dalla loro contestualizzazione. Ognuno di essi è infatti frutto di un dato ambito spazio-temporale-sociale e, perciò stesso, comprensibile solo se visto come elemento di un determinato sistema e momento. I luoghi di provenienza dei reperti - territori dell’esistenza e della quotidianità di allora - oggi sono rintracciabili in mezzo all’attuale territorialità, frutto del sovrapporsi e del sedimentarsi degli effetti dovuti alle azioni della natura e della cultura (uomo) succedutesi nel tempo. La scoperta dei contesti di provenienza o di riferimento si combina con uno specifico pensiero paesaggistico per interpretare l’odierna complessità della configurazione territoriale; un pensiero paesaggistico che, applicato tramite uno sguardo forte e consapevole, consente, guardando il territorio dell’oggi, di ‘vedere virtualmente’ quello di ieri (quello dei reperti storici) e di interpretare quello odierno. In tal modo, non solo si arricchisce la conoscenza ma si allena la capacità di ‘leggere’ il territorio - nella sua dimensione fisica, biologica, socio-culturale in senso diacronico e sincronico – anche grazie ad azioni di apprendimento attivate a livello museale. 

All’inizio fu il mare. In continuità con l’Adriatico, infatti, l'acqua copriva tutto il bacino padano fino alla sommità dell’Appennino emiliano. Il percorso prende quindi avvio a Montese (700 m s.l.m. nell’Appennino modenese), dove sono stati rinvenuti molti fossili di Echinidi, segno ineludibile della presenza di quel mare. Dopo il Pleistocene, che portò allo svuotamento dell’acqua, fu l’epoca della padania paludosa (circa 12.000 anni fa) e delle Terremare, comunità palafitticole per lo più delle zone pedecollinari, come Montale e Gorzano, di cui si possiedono ampi e ricchi reperti. Qui l’uomo imparò a convivere con l’acqua limitandone i condizionamenti tramite un approccio per lo più passivo, le palafitte. Venne poi la centuriazione romana (di cui vi è ampia traccia sul territorio), poco più di 2000 anni fa, con le prime bonificazioni – interventi attivi dell’uomo per limitare i condizionamenti dell’acqua - seguite da altre nei secoli successivi (basso medioevo e rinascimento in primis) per giungere alle opere di bonifica recenti (inizio del XX sec.) della bassa Pianura Padana. Quest’ultime (tra cui emergono gli impianti di Moglia e S. Benedetto Po) sono state realizzate grazie ai progressi della scienza e della tecnologia - di cui le collezioni museali ci forniscono ampia testimonianza – e dove tuttora è attivo il sistema di regimazione delle acque onde mantenere l’abitabilità ed utilizzabilità di queste aree. L’uomo è così riuscito ad ‘addomesticare’ la natura per renderla funzionale ai propri bisogni; è, quindi, un percorso che stimola anche la riflessione sul rapporto uomo-ambiente, sull’uso spesso indiscriminato del suolo e delle risorse naturali per trarne benefici spesso di breve durata e in modo non sostenibile. E’ un viaggio nello spazio e nel tempo di particolare fascino perché coinvolge la stessa esistenza e presenza dell’uomo, il suo rapporto con la natura, il suo modo di abitare la terra e la Terra. 

Alcuni siti significativi per esplorare l'itinerario:
1) Montese  2) Rocca S. Maria 3) Montale 4) S. Benedetto - S. Siro
Le linee di costa dell'Italia nel Pliocene. Da: Wikipedia (By:Bratislav, CC BY-SA 3.0)
Geometrie dei campi (ortofoto volo IGMI 1954-55).

 
IL PENSIERO PAESAGGISTICO
Il paesaggio è da considerare come immagine del territorio (una delle non poche accezioni di paesaggio), ossia costruzione mentale (perciò culturale) che sta tra il mero reale e i concetti, formulazioni astratte indispensabili per favorire la conoscenza. Da un lato del processo, comunque recursivo, della conoscenza rispetto ad uno spazio si colloca il territorio, realtà materiale sui generis, risultato di profonde e ripetute interazione tra uomo e ambiente, tra natura e cultura, e perciò sottoposto a continui mutamenti. Dall’altro si pone il bagaglio concettuale che produce, su stimolo degli effetti dello sguardo, il paesaggio come immagine, un modo non solo per descrivere la materialità, ma anche per spiegarla sotto diversi profili. In tal senso, le immagini sono gli utensili che permettono di esplorare il territorio catturandone gli elementi essenziali. La composizione, la connotazione di tale immagine dipende fortemente dal bagaglio concettuale – nozioni, concettualizzazioni, teorie, idee – relativo a tutto ciò che può comporre un territorio e diversi territori. La mente deve quindi essere ben ricca per produrre un’immagine – il paesaggio – con cui interpretare il territorio. Come dire, in sostanza, un secondo strumento, meno astratto dei pensieri, dei concetti e delle idee, che si costruisce sulla base dello stimolo che deriva dall'incontro di ciò che viene colto dallo sguardo con i concetti, le idee; è fuori dubbio che il paesaggio che si costruisce come immagine e che, in prima battuta, magari si pensa di ‘vedere’, è ben diverso da ciò che l'occhio, come organo umano, fisiologicamente cattura dell'esterno. E’ un costrutto che combina questi stimoli componendo un'immagine che è un insieme di segni. I segni stessi ovviamente sono composti su influenza delle idee e aiutano a interpretare quel reale di cui non si cattura l'essenza.

Il pensiero paesaggistico impiega innanzitutto lo strumento della ‘frattura’ – discontinuità cromatica e formale/direzionale - che, trasformandosi in segno, rende visibile e intellegibili le componenti di un territorio; è la discontinuità e non l’omogeneità che consente di cogliere le variazioni, le componenti, la dinamica di un territorio. Tali segni ‘fanno apprendere’ il contesto territoriale.  Indispensabile è uno sguardo ‘consapevole e preparato’, ossia una azione volontaria di ‘guardare’ con capacità di ‘vedere’ grazie a concetti e strumenti adeguati a ‘cogliere’ una visione complessiva del territorio e delle sue componenti e, da qui, costruirne l’interpretazione. Ciò favorisce innanzitutto la lettura denotativa del territorio, volta a riconoscerne i diversi elementi costitutivi, le relazioni che li legano, i fattori fisici, biologici, socio-economici e culturali che ne sono all’origine; un modo non solo per descrivere la materialità, ma anche per spiegarla da diversi punti di vista secondo il linguaggio che si adotta. Dall’altra, immagini istantanee distribuite nel tempo supportano la lettura diacronica del territorio, per ‘immaginarne’ l’evoluzione, catturando i modi in cui l’uomo ha ‘lasciato il segno’ del suo passaggio e del suo agire. La lettura connotativa infine, campo delle sensazioni e delle emozioni, ha proprio nel paesaggio il medium culturale generatore. Dotarsi di un pensiero paesaggistico significa essere in grado, guardando il territorio dell’oggi, di vedere quello di ieri, a partire da tutte le tracce e le testimonianze reperibili in loco o nei musei. Questo sguardo profondo riempie di un significato nuovo e performativo il concetto di paesaggio, che diventa attività di costruzione di immagini, capacità di decifrare i segni e di integrare la realtà visibile con ciò che era presente nei secoli precedenti.

L’immagine, produzione mentale umana, mentalmente impiegata per interpretare il territorio, può trovare una sua traduzione verso l’esterno, in chiave comunicativa, tramite l’impiego di uno o più linguaggi umani. I principali: quello descrittivo che fa ricorso alla parola, parlata o scritta, medium convenzionale di facile impiego ma spesso povero di capacità traslativa, e quello artistico, per lo più pittorico, decisamente più ricco strumentalmente ma spesso limitato nella sua padronanza d’impiego.

Paesaggi della bassa Emilia-Romagna.


INTRODUZIONE    MULTIMEDIA    VISITA IL MUSEO    SCOPRI IL TERRITORIO