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Sul filo dell'aratro, la trasformazione del paesaggio agrario

Itinerario a cura dell'UNIVERSITÀ DI PERUGIA

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Nell’itinerario sono illustrati i paesaggi trasformati dall’attività agricola nel corso della storia. Il percorso pone l’accento sulla trasformazione a cui sono andate incontro le aziende agrarie in Europa, quando si passò dai tradizionali agro-ecosistemi chiusi, dove l’unico input era la luce del sole e l’output i prodotti destinati alla vendita, agli agro-ecosistemi aperti al mondo globalizzato.

La "maggiore tappa nello sviluppo dell'umanità"

Così è stata definita dagli studiosi la rivoluzione neolitica, ed in effetti è difficile trovare nella storia un cambiamento così radicale delle abitudini di vita. Da piccoli gruppi di cacciatori – raccoglitori si passò a società più complesse, dal nomadismo si passò alla sedentarietà e fu questo il momento in cui si crearono quelle simbiosi tra l’uomo, le piante e gli animali domestici che sono tuttora alla base dell’agricoltura. La rivoluzione neolitica si originò indipendentemente in almeno nove zone diverse del globo – chiamate focolai - , tra il 10.000 e il 1000 a. C. da questi focolai iniziali le piante, gli animali e gli attrezzi cominciarono a diffondersi e a modificare i dintorni degli insediamenti (fig. 1). Nel Villaggio neolitico di Skara Brae in Scozia (fig. 2) troviamo una delle prime testimonianze di intervento dell’uomo sul paesaggio circostante

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Dall’immondezzaio ai primi aratri

Perché si ara? Per capire la necessità delle lavorazioni del terreno bisogna tornare ai primordi dell’agricoltura e parlare della teoria dell’immondezzaio: nei primi accampamenti gli uomini si accorsero che alcune piante si sviluppavano in aree disturbate, la genesi della coltivazione consistette nell'estendere artificialmente tali aree, ‘disturbando’ il suolo con incendi e con i primi strumenti, i "rastri", dei rami curvati che venivano trascinati sul terreno. Il passo successivo fu la realizzazione dei primi aratri primordiali: dei rami appuntiti e trainati dall’uomo (fig. 3). Una serie di fortuite coincidenze ha permesso di scoprire a Gricignano, nel Casertano, un campo coltivato preistorico risalente al XVIII sec. a. C. e sepolto da una eruzione vulcanica del complesso Somma – Vesuvio (fig. 4).

 

Gli aratri tradizionali dall’antichità al Novecento

Con la domesticazione degli equini e dei bovini gli uomini intuirono le potenzialità del traino animale che consentiva di lavorare appezzamenti sempre più grandi (fig. 5). Dopo il 1000 a. C. si ebbe un’ulteriore evoluzione con l’adozione del ferro nella costruzione dell’aratro, che rese possibile l’utilizzo anche nei terreni compatti. Fino ai primi decenni del Novecento i paesaggi rurali erano ancora lavorati con aratri tradizionali non dissimili da quelli di epoca romana. Nel Sud Italia erano diffusi gli "aratri chiodo" trainati da muli (fig. 6); nell’Italia centrale i poderi erano lavorati con gli "aratri simmetrici" che spostavano la terra sui due lati (fig. 7) e gli "aratri asimmetrici" - o perticare - che spostavano la terra su di un solo lato e andavano più in profondità (fig. 8).

 

 

Gli aratri perfezionati

Gli aratri tradizionali avevano molti difetti: non potevano svolgere lavorazioni profonde; la terra si attaccava alle parti in legno e richiedevano continue manutenzioni. Era quindi necessaria una svolta tecnologica che arrivò con la rivoluzione industriale e con gli ‘aratri perfezionati’. I primi aratri moderni apparvero in Inghilterra, ma la svolta si ebbe in America dove i terreni erano molto tenaci; nel 1837 in Illinois un fabbro di nome John Deere costruì il primo aratro con una lastra in acciaio (fig. 9) e poco dopo James Oliver brevettò il chilled plow, o aratro refrigerato (fig. 10). In pochi anni questa fabbriche diventarono leader mondiali, creando accanto al paesaggio agrario americano un nuovo paesaggio: quello industriale (fig. 11).

Gli aratri perfezionati nell’Europa centrale e in Italia

Seguendo l’esempio degli inglesi e degli americani, che ormai utilizzavano principalmente attrezzi moderni (fig. 12), anche nell’Europa continentale si cominciarono a produrre i nuovi aratri. Una delle fabbriche più importanti fu quella di Rudolph Sack, inaugurata nel 1863 a Plagwitz, vicino a Lipsia, (fig. 13). Alla fine dell’Ottocento la sperimentazione delle nuove attrezzature nei poderi dell’Italia centrale (fig. 14) stimolò anche le industrie italiane, come la Ansaldo (fig. 15), a produrre attrezzi per il mercato interno.

 

La motorizzazione dell’agricoltura

Modernizzati gli aratri rimaneva comunque un problema: lo dello scarso rendimento della trazione animale. Una prima soluzione fu quella di adottare enormi locomotive a vapore (fig. 16) che trainavano con corde di acciaio gli aratri da una parte all’altra dei campi: si trattava della cosiddetta aratura funicolare. Le incisioni d’epoca mostrano campi sgombri (fig. 17) e anticipano la ricaduta che la motorizzazione avrà sul paesaggio agrario: l’abbattimento degli alberi presenti nei campi ed utilizzati come tutori per le viti. La scoperta di grandi depositi di petrolio nel 1901 diede il via alla produzione di motori a scoppio, più leggeri e performanti dei vecchi motori a vapore. Henry Ford in pochi anni mise in produzione il Fordson, il primo "trattore di massa" con motore endotermico a petrolio (fig. 18). Durante la prima guerra mondiale vennero importati in Italia questi primi trattori e nelle foto d’epoca (fig. 19) li vediamo all’opera nei paesaggi tradizionali che verranno presto semplificati dalla motorizzazione dell’agricoltura.

fig. 16, locomotiva a vapore utilizzata in agricoltura   

         

 


Testo e immagini a cura di: Marco Maovaz

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