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Gli strumenti scientifici fra sperimentazione e didattica della scienza (Chieti)

Itinerario a cura dell'UNIVERSITÀ DI CHIETI-PESCARA

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Introduzione

La collezione della Strumentaria scientifica del Museo universitario di Chieti è costituita da reperti che provengono da diverse strutture della città di Chieti: Liceo Classico “G. B. Vico”, Istituto Magistrale “I. Gonzaga” e Seminario Regionale “San Pio X”.  L’insieme dei beni in questione, impiegati in ambito scolastico ed ecclesiastico regionale, rappresenta un patrimonio inestimabile: documentano, infatti, l'affinamento della scienza sperimentale nel progresso del pensiero umano dal XVII al XXI secolo.  Nell’attuale momento storico nel quale la Scienza e la Tecnologia hanno fatto passi enormi, gli antichi strumenti scientifici sono fondamentali per storicizzare questo progresso e per spingerci ad alcune interessanti riflessioni per la ricostruzione della cultura scientifica e della civiltà tecnologica.

 Teorie scientifiche e strumenti di osservazione

Grazie alla selezione di strumenti qui proposta è possibile comprendere la profonda relazione fra alcune teorie scientifiche e l'uso di strumenti scientifici. 

1. Teorie della luce e del calore - Il banco ottico di Macedonio Melloni (N. inv. 4040)

Teorie del calore

Dal XVII alla metà del XIX secolo lo studio della natura del calore costituiva argomento di grande interesse per la Fisica. Due erano le teorie prevalenti sulla natura del calore. Secondo alcuni (Boyle 1627-1691, Benoulli 1700-1782) il calore era energia cinetica delle particelle costituenti la materia, secondo altri (Lavoiser 1743 -1794) era un fluido imponderabile e indistruttibile, il calorico, contenuto nei corpi e libero di trasferirsi da un corpo ad un altro a diversa temperatura. Nel periodo che va dal 1830 al 1840 Macedonio Melloni, nato a Parma, con una serie di fondamentali esperimenti sul trasferimento di calore da un corpo all’altro per irraggiamento, dimostrò l’analogia tra il calore radiante (in seguito noto come radiazione infrarossa) e la radiazione luminosa.  Il suo contributo fu rilevante per la formulazione della teoria delle onde elettromagnetiche. Questa teoria e i molti esperimenti, fondamentali quelli di Joule eseguiti attorno al 1840, collegando il calore al trasferimento di energia da un corpo all’altro, accantonavano definitivamente la teoria del calorico. Per i suoi studi Melloni ebbe moltissimi riconoscimenti internazionali tra i quali la prestigiosa medaglia Rumford della Royal Society che riceverà nel 1835.

Il banco ottico è una riproduzione di quello usato dal fisico parmense per lo studio del calore radiante. È costituito da una barra di ottone lunga 1 metro sulla quale è incisa una scala millimetrata. Ad una estremità della barra, su di un cavalierino, è montato un goniometro orizzontale nel centro del quale è saldata una colonnina verticale attorno alla quale può ruotare una seconda barra.

Con il banco ottico di Melloni, completo dei suoi accessori di seguito elencati, è possibile eseguire esperienze per studiare e verificare la propagazione rettilinea del calore, le leggi della riflessione, della rifrazione, della diffusione e della polarizzazione del calore radiante. In tutte le esperienze indispensabili sono la sorgente di radiazione e la termopila come rivelatore. Un prisma di salgemma permette di selezionare la lunghezza d’onda della radiazione. Gli studi del potere emissivo e del potere assorbente di radiazione termica, da parte di diversi materiali con superfici diversamente trattate, vengono eseguiti con le diverse sorgenti in funzione della loro temperatura. Essi dimostrano che il nero fumo possiede il massimo potere assorbente ed il massimo potere emissivo mentre le superfici metalliche piane emettono ed assorbono piccole quantità di calore. La polarizzazione della radiazione termica viene evidenziata da una pinza alla tormalina che permette di osservare la variazione di intensità della radiazione trasmessa dal dispositivo quando una delle lamine polarizzatrici viene fatta ruotare rispetto all’altra.

Gli esperimenti di Melloni per osservare il fenomeno dell’interferenza, mediante specchi di Fresnel, non ebbero successo nonostante lo scienziato fosse un convinto assertore della natura ondulatoria della radiazione. La fisica dell’infrarosso, iniziata da Melloni, avrà un importante ruolo nella nascita della meccanica quantistica

Il banco ottico è dotato di diversi accessori:

  • Due sorgenti di calore radiante basate sul potere emissivo di superfici a diverse temperature: il Cubo di Leslie (N. inv. 4331) e una spirale di platino (N. inv. 4512)
  • Il termomoltiplicatore (termopila) (N. inv. 4411) per misurare l’intensità della radiazione infrarossa.
  • Tre piattelli circolari di ottone (N. inv. 4049) per sostenere prismi, lamine, vetri e specchi piani.
  • Un disco di vetro (N. inv. 4511) incastonato al centro di una piastra metallica rettangolare, con una superficie lucida e l’altra annerita.
  • Sottili dischi di carta (N. inv. 4513)
  • Una piastra metallica forata (N. inv. 4514), dotata di guide per l’inserimento di telaietti in alluminio con fenditure di diversa forma e dimensione.
  • Lastre rettangolari in ottone (N. inv. 4515) tenute rigidamente parallele e distanziate di 5 mm
  • Uno schermo a diaframma variabile (N. inv. 4516) composto da una lastra forata al centro, munita di asta di sostegno e da un disco girevole nel quale sono state praticate fenditure di diametri e forme diverse. Ruotando il disco è possibile selezionare la fenditura utile per l’esperimento.

La precedente disputa sulla natura della luce: onde o particelle?

Il problema della natura della luce, con particolare riferimento al meccanismo della visione, è stato argomento di studio sino dall’antica Grecia. A cavallo tra il XVII e XVIII secolo risale la disputa tra Huygens (1629-1695) e Newton (1643-1727) sulla natura della luce. Il primo sosteneva la natura ondulatoria (la luce come il suono si propaga per onde), il secondo la natura corpuscolare (la luce viene emesse dalle sorgenti sotto forma di particelle dotate di altissima velocità). Ai primi del XIX secolo gli esperimenti di Young (1773-1839) e Fresnel (1788-1827) sull’interferenza di onde luminose dimostrano in maniera inequivocabile la natura ondulatoria della luce.

  • Specchi di Fresnel (N. inv. 4057): Nell’esperimento con questi specchi, la luce monocromatica, emessa da una sorgente puntiforme, viene fatta incidere sulle superfici speculari, non complanari degli specchi. Le immagini virtuali della sorgente, fornite per riflessione dagli stessi, costituiscono sorgenti di luce coerente (emissione in fase). Su di uno schermo, opportunamente orientato nella zona di spazio in cui i due fasci riflessi si sovrappongono, si osservano figure di interferenza costruttiva e distruttiva a dimostrazione della natura ondulatoria della luce. L’esperimento con il doppio specchio di Fresnel, eseguito al tempo di M. Melloni utilizzando una sorgente di calore radiante, ha permesso di dimostrare il carattere ondulatorio della radiazione termica e la sua analogia con la radiazione elettromagnetica.
  • Schermo con fenditura verticale (N. inv. 4184) scorrevole sul binario del banco ottico con la possibilità di determinarne precisamente la posizione.
  • Lastre rettangolari in ottone (N. inv. 4050) tenute rigidamente parallele e distanziate di 5 mm circa sostenuto da un dispositivo telescopico munito di cursore scorrevole. Delle due superfici esterne una è lucidata e l’altra è annerita.

Per approfondimenti: Palmieri L., Lezioni elementari di fisica sperimentale e di meteorologia, Stabilimento Gaetano Nobile, Napoli, 1852; Ganot A., Trattato elementare di fisica, Pagnoni, Milano, 1867; Garruba S., Lezioni di Fisica, D’Auria, Napoli, 1902, Battelli A. e Cardani, P. Trattato di Fisica Sperimentale, Vallardi, Milano 1916.


2. Osservare la forza centrifga - la macchina di rotazione (N. inv. 11803)

La forza centrifuga

Per un passeggero posto su di un automezzo che percorre una curva è esperienza quasi quotidiana avvertire una forza che lo spinge verso l’esterno del mezzo. Questa forza apparente, nota come forza centrifuga, è tanto più intensa quanto maggiore è la velocità con la quale il mezzo affronta la curva e quanto minore è il raggio di curvatura di questa ultima.

Per un osservatore esterno al mezzo (collocato in un sistema di riferimento inerziale, sistema per il quale vale il seguente principio di inerzia “un corpo non soggetto a forza si muove di moto rettilineo uniforme”; un sistema di riferimento solidale con la Terra è, con buona approssimazione, un sistema inerziale) il moto viene descritto da una forza reale, diretta verso il centro della curva, che agisce sul corpo mantenendolo sulla traiettoria curvilinea La forza centrifuga si manifesta, quindi, ogniqualvolta il moto curvilineo di un corpo viene osservato da un sistema di riferimento solidale con il corpo stesso (sistema di riferimento non inerziale).

Si deve ad Huygens (1629-1695) l’espressione matematica di questa forza.

La macchina di rotazione rappresenta l’apparato didattico per osservare, mediante accessori, alcuni effetti della forza centrifuga.

Questo apparato è principalmente costituito da due ruote metalliche, dotate di scanalature e con diametri molto diversi, che possono ruotare sullo stesso piano orizzontale attorno a due assi verticali. Questi ultimi sono inseriti alle estremità di un’asta quadrangolare, sostenuta da tre piedini, e distano l‘uno dall‘altro di 7 cm. La trasmissione del moto circolare dalla ruota grande alla ruota piccola avviene per mezzo di una cinghia di cuoio. La ruota, con diametro più grande, è dotata di una manovella con pomello di legno. All’asse di rotazione della ruota più piccola è rigidamente collegato un disco orizzontale di ottone su quale è possibile collocare i vari accessori di cui l’apparato è dotato. Questo disco può essere posto manualmente in rapida rotazione dato l’elevato rapporto fra i diametri delle due ruote. e può essere utilizzato per esperimenti didattici sugli effetti della forza centrifuga in corpi in rapida rotazione con diverse velocità angolari.

In particolare, utilizzando gli accessori di seguito descritti, è possibile osservare e valutare: a) la deformazione di anelli circolari elastici, b) l’apertura angolare di due aste incernierate su di un asse in rotazione e recanti alle estremità libere sfere identiche di metallo e c) le condizioni di equilibrio di due sfere metalliche di diversa massa, tra di loro collegate, e scorrevoli lungo una coppia di cavi paralleli e poste in rapida rotazione.  

Per approfondimenti: Daguin P.A. Traité Elementaire de physique Théorique et expérimentale Tome Quatrième - Optique, Paris: Delagrave; Toulouse: Privat, Troisieme édition, Paris, 1868.


3. Teorie cosmologiche - Emisfero armillare (N. inv. 4364)

Gli emisferi armillari e la teoria tolemaica

L’emisfero armillare, già in uso nel mondo greco antico, si ritiene sia stato inventato da Eratostene nel III secolo a.C. Deve il suo nome agli anelli (dal latino armilla) dai quali è formato e rappresenta il modello tridimensionale geocentrico della sfera celeste secondo Tolomeo (II secolo d.C.). Come strumento astronomico prevalentemente didattico dimostrativo, permette di descrivere il moto dei corpi celesti; in particolare è possibile determinare le coordinate del cammino apparente del sole e delle stelle dello Zodiaco in qualsiasi giorno dell‘anno. Venne utilizzato sino alla metà del XVI secolo quando con l’avvento della teoria eliocentrica di Copernico (1473-1543), venne sostituito da emisferi armillari con il Sole al centro delle orbite dei pianeti. Gli emisferi armillari vennero sostituiti definitivamente dai planetari alla fine del XVIII secolo.

Riproduzione modello meccanico della sfera celeste costituito da cerchi che rappresentano l’equatore, i meridiani, i paralleli e l’eclittica. La terra è posta al centro della sfera.

L’emisfero armillare (n° 4364) della collezione G. B. Vico, realizzato dalla Paravia, è interamente in ferro rivestito con carta e rappresenta il modello meccanico geocentrico del mondo tolemaico. E’ costituito da una base di legno tornito, dotato di un pesante piede circolare, alla quale è assicurata una forcella verticale a quattro braccia sulle quali sono riportati i nomi delle città, le loro latitudine e longitudine e il numero di abitanti. Questa struttura sostiene due cerchi con piani mutuamente perpendicolari, uno orizzontale fisso e l’altro verticale leggermente inclinabile. Il cerchio fisso, suddiviso in gradi, rappresenta l’orizzonte dell’osservatore e porta incisi il calendario, i segni zodiacali e i punti cardinali. Il cerchio verticale (il meridiano) è suddiviso in gradi di elevazione del Polo. Nell’utilizzo dell’emisfero armillare il meridiano veniva inclinato rispettando la latitudine del luogo.

Per approfondimentiCardinale A., Sfera armillare. Frammenti di cultura scientifica, Idelson-Gnocchi, Napoli 2000; Baronio Toscano F., Trattato completo della sfera armillare, Tipografia F. Solli, Palermo 1819.

 


4. Teorie cosmologiche - Sistema planetario (N. inv. 4178)

La rivoluzione copernicana

Nel 1543, nell’opera “De rivolutionibus orbium coelestium”, Copernico (1473-1543) espone la teoria eliocentrica dell’Universo. In questa teoria, il Sole è immobile al centro ed intorno ad esso, su orbite circolari, ruotano i pianeti, allora noti, Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno ed alcuni asteroidi. Sostenuta sin dagli inizi del seicento da Keplero (1571-1630) e da Galilei ( 1564-1642), ne viene fornita una spiegazione fisica nel 1687 da Newton ( 1642-1727) con la legge di gravitazione universale.

All’inizio del XVIII secolo le sfere armillari, costruite per mostrare il moto del Sole e dei pianeti intorno alla Terra in una sistema geocentrico, vengono sostituite da sfere planetarie, costruite a scopo didattico per mostrare le caratteristiche del sistema copernicano. Le sfere planetarie sono i precursori dei moderni planetari.

Per approfondimenti: G.G. Amaldi, Astronomia: il sistema planetario, Edizioni Radio italiana, Roma 1954; A. Libes, Trattato elementare di Fisica, A. S. Valle, Venezia 1813.

 

 


  Altri strumenti in evidenza

5. Coppia di telefoni (N. inv. 4378)

Questa coppia di telettrofoni (trasmettitore e ricevitore) è costituita da due identiche strutture di legno pregiato, tornite a forma di colonna con base svasata ad imbuto forata al centro (padiglione), contenenti la parte elettroacustica. Questa parte consiste in un diaframma circolare metallico collocato alla base del padiglione e solidale con una calamita rettilinea, mobile, inserita lungo l’asse del contenitore ed infilata in una bobina metallica.  Sotto l’influenza delle onde sonore, convogliate dal padiglione sul diaframma, questo comincia a vibrare. Le vibrazioni del sistema diaframma - magnete inducono nella bobina, per la legge di Faraday (legge dell’induzione elettromagnetica) , un segnale elettrico che viene trasmesso , mediante una lunga coppia di cavi conduttori, tra loro isolati, inseriti nei serrafili collocati alla sommità del contenitore, all’altro telettrofono. Quest’ultimo, con un processo inverso al precedente, trasforma il segnale elettrico ricevuto in un segnale acustico che riproduce fedelmente il suono all’ingresso del primo telettrofono e che viene reso udibile tramite il padiglione. In uno dei due telettrofoni manca la membrana metallica.

Per approfondimenti: Catania B., Antonio Meucci: l'inventore e il suo tempo, vol. II, Torino 1994; Murani O., Trattato elementare di fisica compilato ad uso de' licei e degli istituti tecnici, Volume 2, U. Hoepli, Milano 1910.


6. Bussola (N. inv. 4387)

Questa antica bussola è costituita da una scatola di radica di noce, dotata di coperchio, sul fondo della quale è stata ricavata una cavità circolare, del diametro di 18 cm circa, contenente un foglio di carta e l’ago magnetico ruotante sostenuto da un perno. Sul bordo dei quattro settori, in cui è diviso il foglio, è riportata una scala graduata con lo 0 e i 90 gradi rispettivamente in coincidenza dei punti cardinali Nord /Sud ed Est/Ovest. Una seconda scala, interna alla prima, è riportata nel settore Nord Est Sud con lo 0 e i 90 gradi rispettivamente in coincidenza dei punti cardinali Est e Nord/Sud. In origine l’ago e la scala erano protetti da una lastra circolare di vetro (mancante).

Per approfondimenti: Società di letterati italiani, Dizionario delle origini, invenzioni e scoperte nelle arti, nelle scienze e nella geografia, Bonfanti, Milano 1828; F. Abbri, Storia delle scienze: gli strumenti, Einaudi, Torino 1991.       

 

 


7. Macchina fotografica (N. inv. 11958)

La macchina fotografica rappresenta lo sviluppo della camera oscura per la ripresa e la visione di immagini di oggetti. La struttura di questa macchina fotografica portatile a soffietto, realizzata in legno dalla Ditta Lepage e C. di Milano, è costituita da un frontale verticale a forma di L, una base incernierata al lato corto della L. e un telaio posteriore verticale scorrevole sulla base mediante cremagliera dotata di un elemento di bloccaggio. 

Sul frontale è collocata una tavola scorrevole orizzontalmente che sostiene un obiettivo rettilineo, aplanatico (Anastoscopio) con diaframma ad iride interposto tra le due lenti. L’obiettivo è protetto da un tappo di cuoio che ha anche la funzione di otturatore.

Nel telaio posteriore una cornice, incernierata sul lato del telaio, sostiene un vetro smerigliato.

Tra il frontale ed il telaio è collocato il soffietto di tela rinforzata la lunghezza del quale, regolata mediante una manopola, consente l’inquadratura e la messa a fuoco dell’immagine fornita dall’obiettivo sul vetro smerigliato. Eseguite queste operazioni il vetro smerigliato viene sostituito dalla lastra fotografica.

Per esigenze di trasporto o di conservazione, il soffietto può essere richiudibile in un pacchetto compatto e la base incernierata può essere ruotata di 90 gradi ed agganciata al frontale in modo tale che l’intero apparecchio fotografico possa essere contenuto entro una custodia lignea, dotata di maniglia, con dimensioni 25,5 x 21,5 x 14,5 cm.

Per approfondimenti: Caccini A., La macchina fotografica, EDIPEM, Novara 1981.


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