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Il papiro: la scoperta di un antico paesaggio culturale

Itinerario a cura dell'UNIVERSITÀ DEL SALENTO

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La lunga storia delle utilizzazioni del papiro (Cyperus papyrus) da parte dell’uomo rappresenta un interessante caso di studio delle mutevoli relazioni che si creano fra elementi naturali, una pianta in questo caso, e i suoi usi culturali da parte di una civiltà. Oggi il papiro è utilizzato prevalentemente a scopo ornamentale, ma nell'Antico Egitto era il baricentro di un universo fatto di tecniche, elementi simbolici, perfino usi alimentari. Il midollo infatti, oltre a fornire fibre tessili, veniva consumato come cibo, mentre le radici e il fusto costituiva materiale di costruzione per utensili e probabilmente imbarcazioni leggere. 
L’uso più celebre della pianta del papiro è però come supporto per la scrittura, un’attività che durante tutta l’antichità ha posto il delta del Nilo al centro di un’importante traffico commerciale, per poi declinare con la diffusione della carta di stracci, attorno all’anno 1000 d.C. I papiri hanno così conservato fino ad oggi testimonianze importanti di molte lingue e culture diverse, nonostante la loro elevata deperibilità: umidità e luce ostacolano la conservazione della fibra vegetale che facilmente si sgretola o annerisce.

 Il “ritorno” del papiro in epoca moderna: la scoperta di un antico paesaggio culturale

Storia recente della Charta Borgiana

La Charta rimase nel Museo Borgiano fino al 1817, quando Camillo Borgia, nipote del cardinale, la vendette a Gioacchino Murat, insieme ad altri oggetti d’arte appartenuti allo zio. Quando, nel 1817, i materiali borgiani giunsero al Real Museo Borbonico di Napoli, due intere stanze dello stesso furono destinate ad ospitare la Collezione Borgia. La Charta era stata posta, grazie alle indicazioni dello Schow, tra due lastre di vetro a loro volta collocate in una cornice lignea. Si trattava di una sistemazione dettata da una notevole sensibilità “papirologica” dello studioso, che fortunatamente non aveva voluto incollare il papiro su tela, come si era soliti fare all’epoca, legando indissolubilmente i destini dei due materiali e favorendo in qualche modo l’attacco del papiro da parte degli insetti.

Attualmente il papiro è esposto in due teche della Collezione Egizia del Museo Archeologico di Napoli. Su invito della Soprintendenza Archeologica di Napoli Mario Capasso e Natascia Pellé hanno effettuato, nel 2008, un’accurata pulizia e un delicato restauro conservativo del prezioso documento, che era stato attaccato dalla muffa e rischiava seriamente di andare in rovina. Dopo il restauro il papiro è stato nuovamente riposto nella sua bacheca, dove i visitatori possono nuovamente ammirarlo.

 

La Papirologia è, tra le discipline che studiano i vari aspetti del mondo antico, una delle più recenti. Essa nacque ufficialmente nel 1788, quando il paleografo danese Niels Iversen Schow (1754-1830) pubblicò a Roma il primo papiro greco pervenuto dall’Egitto in Occidente e riconosciuto come tale, la così detta  Charta Borgiana , un rotolo di 12 colonne e mezzo, ciascuna contenente 30-40 righe di scrittura.

La Charta Borgiana e la nascita della papirologia

Questo rotolo era stato ritrovato nel 1778 nei pressi di Giza, pianoro roccioso situato sulla riva occidentale del Nilo, nella regione dell’antica Menfi (a 5 km dal Cairo), chiuso in una piccola cassa di legno insieme ad un’altra cinquantina di papiri. I contadini che avevano casualmente effettuato il ritrovamento nel corso del loro lavoro agricolo avevano offerto ad un prezzo esiguo i volumi contenuti nella capsa ad un non meglio identificato mercante europeo, il quale, evidentemente ignaro del valore dei materiali, si limitò a comperarne uno, che poi, tornato in Italia, regalò al cardinale Stefano Borgia (1731-1804). Questi era uno dei massimi antiquari e storici del suo tempo, che amava raccogliere ogni sorta di antichità nel proprio museo personale di Velletri.

 

Qui sopra: La celebre Charta Borgiana (SB I 5124), il primo papiro greco pervenuto dall’Egitto in Occidente e riconosciuto come tale/ Un frammento della Charta Borgiana / Un momento del restauro della Charta Borgiana, effettuato da un’équipe del Centro di Studi Papirologici dell’Università del Salento nel 2008.
Sotto: Il cardinale Stefano Borgia (1731-1804) / Il paleografo danese Niels Iversen Schow (1754-1830).

Per dieci anni la Charta, detta poi Borgiana dal nome del Cardinale, rimase esposta nel Museo borgiano inedita: nel 1788, dopo quattro mesi di lavoro, essa fu decifrata, tradotta e commentata dallo Schow, che si trovava a Roma per motivi di studio e che frequentava assiduamente il gruppo di intellettuali danesi che si raccoglieva abitualmente intorno al Cardinale. L’edizione, che come si è detto segna convenzionalmente l’avvio ufficiale della Papirologia, richiese al paleografo danese notevoli energie, soprattutto a causa dell’assoluta novità dell’argomento: si trattava di un elenco di operai provenienti da Ptolemais Hormou, un villaggio del distretto dell’Arsinoite (corrispondente all’attuale regione del Fayyum), impegnati nel 193 d.C. in lavori di canali e dighe in varie località dello stesso distretto. Il documento è scritto in una maiuscola greca molto corsiva e legata, che lo Schow, pur non potendo disporre di materiali analoghi, riuscì sostanzialmente a decifrare.

 

 La ricerca archeologica e la formazione delle collezioni papirologiche

Inordine: (sopra) Il viceré d’Egitto Mehmet ‘Ali (1769-1849) / Il viaggiatore ed egittologo Giovanni Battista Belzoni (1778-1823) / Il diplomatico e archeologo italiano Bernardino Drovetti (1776-1852) / (sotto) L’orientalista austriaco Joseph Karabacek (1845-1918) / L’antiquario austriaco Theodor Graf (1840-1903) / L’egittologo francese Gaston Maspero (1846-1916).

A partire dal 1870, con il progressivo aumento della terra coltivabile e l’incremento dell’attività agricola che caratterizzarono l’economia egiziana a partire dal regno di Mehmet ‘Ali fino ai primi del Novecento, notevoli quantità di papiri cominciarono ad essere rinvenute in Egitto (per la massima parte nel Fayyum, l’antico Arsinoite) e quindi vendute in Europa. La bonifica dei territori infatti, resa possibile da un più razionale sistema di canali e più moderne tecniche di coltivazione, comportò lo smantellamento di antichi siti archeologici per far posto a nuovi insediamenti, ma anche per asportarne il sebbakh, una sostanza dotata di alto potere fertilizzante, costituta dai sedimenti organici propri dei siti archeologici mescolati ai frammenti dei mattoni crudi con i quali erano fabbricati gli antichi edifici. Nel corso di questo massiccio sbancamento dei siti archeologici – attuato dai contadini egiziani con il consenso delle autorità – vennero portati alla luce moltissimi papiri, poi venduti agli acquirenti europei.

I primi frammenti papiracei ad emergere copiosamente dal terreno furono naturalmente quelli di epoca tarda (copti, bizantini ed arabi), situati nei livelli abitativi più alti dei siti archeologici: dal momento che essi venivano considerati scarsamente importanti, però, furono certamente distrutti in grande quantità. Emersero poi testi greci (soprattutto di epoca romana), latini, ebraici, siriaci, persiani. I consoli di Germania, Francia e Inghilterra ne acquistarono moltissimi per i rispettivi Paesi, ma gli acquirenti più attivi, che per primi compresero l’importanza dei materiali che venivano via via portati alla luce dalle sabbie del deserto egiziano, furono Joseph Karabacek, bibliotecario della Biblioteca Imperiale di Vienna, ed il suo collaboratore, l’antiquario austriaco Theodor Graf, che riuscirono a portare a Vienna migliaia di frammenti papiracei e pergamenacei greci, arabi, copti e persiani, provenienti soprattutto da siti appartenenti al distretto dell’Arsinoite: essi costituiscono il nucleo della collezione dell’arciduca Ranieri, la più ricca al mondo, che oggi comprende circa 180.000 papiri in scrittura geroglifica, ieratica, demotica, greca, copta, latina, araba, ebraica ecc.

 

 Verso scavi sistematici

L’archeologo britannico W.M. Flinders Petrie (1853-1942). / Immagine di una mummia rinvenuta durante gli scavi di Petrie ad Hawara (1911). / Immagine del papiro ginecologico di Kahun, il più antico testo medico conosciuto (1800 a.C.), rinvenuto da Petrie a El-Lahun nel 1889.

Numerosissimi papiri emersero a Soknopaiou Nesos, sul margine settentrionale del Fayyum – sito in cui oggi scava la Missione Archeologica dell’Università del Salento in Egitto –, in cui i documenti si sono conservati nelle case esattamente come erano stati lasciati dagli abitanti verso la metà del III sec. d.C., al momento di abbandonare il villaggio. Ingenti quantità di materiale papiraceo furono rinvenute anche a Crocodilopolis-Arsinoe (capoluogo dell’Arsinoite), Heracleopolis Magna, Hermopolis Magna e a Panopolis (odierna Achmîm), nell’Alto Egitto, dove una spedizione diretta dai francesi Gaston Maspero e Urban Bouriant recuperò frammenti di letteratura greca e codici di libri cristiani ed ebraici che furono poi depositati alla Biblioteca Nazionale di Parigi.

La necessità di scavi sistematici si fece manifesta tra gli studiosi in quei decenni di ingenti ritrovamenti, poiché spesso il tumultuoso arrivo di papiri in Europa comportava la perdita della nozione esatta del luogo di rinvenimento, la dispersione di archivi ed aggregazioni più o meno omogenee di papiri nonché lo spezzettamento di documenti integri in più frammenti, ciascuno dei quali destinato a percorrere un itinerario autonomo verso le collezioni occidentali

Verso la fine del XIX secolo si aprì quindi una nuova fase, con l’inizio di scavi sistematici compiuti da studiosi inglesi, francesi, tedeschi, italiani, americani ecc. Il primo a svolgere un’attività archeologica in qualche modo scientifica in Egitto fu l’inglese W.M. Flinders Petrie (1853-1942), che tra il 1880 e il 1890 scavò a Tanis, nel Delta; ad Hawara, importante necropoli posta nell’area sudorientale del Fayyum; a Gurob, villaggio situato all’estremità meridionale dello stesso Fayyum. In quest’ultimo sito l’archeologo potè constatare per la prima volta che si potevano trovare documenti e testi in abbondanza anche nei cartoni in cui venivano avvolte le mummie di uomini e animali (cartonnage): si trattava di una scoperta eccezionale, che metteva in luce una nuova fonte di provenienza dei papiri, che nel tempo si rivelerà poi una delle più importanti. Le necropoli, quindi, acquistarono di colpo un’importanza del tutto nuova per il ritrovamento di materiale papiraceo. Dai cartonnage rinvenuti a Gurob negli anni 1889-1890, in particolare, Petrie recuperò, tra l’altro, alcuni documenti greci del III secolo a.C. e un’edizione molto antica del Fedone di Platone.

Gli scavi di Grenfell e Hunt: Fayyum, Ossirinco, El-Hîbeh

Nel 1895 il benemerito  Egypt Exploration Fund  di Londra – che nel 1920-1921 diventerà  Egypt Exploration Society  – affidò ai papirologi B.P. Grenfell e A.S. Hunt e all’archeologo D.G. Hogarth l’incarico di effettuare uno scavo archeologico nel Fayyum allo scopo di trovare papiri: la loro lunga e fortunata attività in Egitto diede ben presto all’Inghilterra un meritato primato negli studi papirologici.

Bernard Pyne Grenfell (1869-1926, a destra) e Arthur Surridge Hunt (1871-1934, a sinistra) fotografati fuori dalla loro tenda verosimilmente in un sito del Fayyum, nel 1899-1900 / Ritrovamento di papiri sullo scavo condotto agli inizi del Novecento della Egypt Exploration Fund a Ossirinco.

Nell’inverno tra il 1895 e il 1896 la spedizione inglese operò, con ottimi risultati, nei due villaggi greco-romani di Karanis e Bakchias. Nel 1896-1897 i due studiosi si spostarono nel Medio Egitto, a Bahnasa, l’antica Ossirinco: le rovine del sito, non frugate di recente, facevano sperare in un grande risultato. E così fu: Grenfell e Hunt, lavorando sui cumuli di immondizia disseminati nell’area antica, in cinque fortunatissime campagne rinvennero ad Ossirinco migliaia di papiri letterari e documentari, sia greci che latini, che hanno contribuito in maniera determinante a ricostruire la storia dell’Egitto greco-romano e ad arricchire il patrimonio della letteratura greca e latina

A sx: Immagine del POxy 748, rinvenuto nel 1903 a Ossirinco e contenente passi dell’Iliade di Omero / A dx: Immagine del POxy 875, rinvenuto a inizio Novecento a Ossirinco e contenente un frammento dell’Antigone di Sofocle.

Nell’inverno 1898-1899, sempre nell’area del Fayyum, scoprirono i villaggi di Euhemeria, Theadelphia, Philoteris e Tebtynis, da cui ricavarono un gran numero di documenti. Nel 1899-1900, scavando a Tebtynis, ebbero la fortuna di trovare una vasta necropoli di coccodrilli mummificati che erano in parte avvolti da lunghi rotoli di papiro.

Anche a El-Hîbeh, nel Medio Egitto, dove scavarono negli anni 1902-1903, Grenfell e Hunt conseguirono ottimi successi.

Non disponiamo di una stima precisa attendibile dei papiri greci rinvenuti in Egitto, ma si calcola che solo i due grandi papirologi inglesi abbiano recuperato, tra gli ultimi anni dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, circa mezzo milione di frammenti. A Grenfell e Hunt la scienza papirologica deve quindi moltissimo: i due studiosi riuscirono in breve tempo, operando in condizioni logistiche e climatiche certamente non facili, a sviluppare un efficace sistema di ritrovamento, fondato tra l’altro sulla individuazione dell’afsh (una sorta di mistione di paglia, frammenti di legno e altro materiale organico), la cui presenza è un buon indizio di quella dei papiri. Essi hanno anche il merito di aver prontamente divulgato, pubblicandoli o talvolta semplicemente descrivendoli, i testi che via via portavano alla luce: di fatto tutti coloro che hanno scavato in Egitto dopo di loro non hanno fatto altro che seguire le loro tracce. 

 

 La ricerca archeologica dei papiri oggi: il caso di Soknopaiou Nesos

Un momento del recupero di un frammento papiraceo sullo scavo condotto a Soknopaiou Nesos dalla Missione Archeologica dell’Università del Salento in Egitto. / Un momento dell’apertura di un frammento di papiro rinvenuto a Soknopaiou Nesos dalla Missione Archeologica dell’Università del Salento in Egitto / Papiro greco rinvenuto a Soknopaiou Nesos dalla Missione Archeologica dell’Università del Salento in Egitto (ST12/807/3870) / Papiro ancora chiuso e legato con fibra vegetale rinvenuto a Soknopaiou Nesos dalla Missione Archeologica dell’Università del Salento in Egitto (ST04/100/533).

La ricerca archeologica dei papiri oggi è, in ogni caso, fondata su presupposti diversi da quelli su cui si basava quella messa in atto ormai un secolo fa. La finalità di una moderna e scientifica attività di scavo deve essere, infatti, quella di recuperare la struttura urbanistica di un sito ed i caratteri architettonici dei singoli edifici, attraverso una metodologia di scavo che deve prevedere necessariamente l’indagine stratigrafica del terreno, la documentazione delle varie fasi in cui essa si articola e, infine, l’analitica descrizione di tutti gli oggetti rinvenuti. In uno scavo così concepito un papiro è soltanto uno dei tanti oggetti che possono essere portati alla luce, un oggetto che – oltre al suo contenuto – può essere importante anche per datare lo strato o il livello abitativo in cui esso si trovava. I ritrovamenti papiracei continuano quindi ancora oggi, fondamentalmente perché sia gli antichi siti del Fayyum sia quelli disseminati in altre regioni non sono stati completamente indagati: le missioni archeologiche e straniere che operano in Egitto continuano dunque a trovare quantità interessanti di papiri. Si tratta comunque di una lotta contro il tempo: per una serie di circostanze, infatti, quali le operazioni di bonifica fatte per sottrarre terra coltivabile al deserto e l’innalzamento della falda freatica connesso con la stessa bonifica e la creazione della diga di Assuan, il clima egiziano è diventato molto più umido che in passato e questo sicuramente costituisce, com’è facile intuire, un fattore negativo per la conservazione dei papiri che ancora si trovano al di sotto della coltre di sabbia che copre gli antichi siti. La stessa bonifica fa sì che a ridosso di questi ultimi si formino nuovi centri abitati, la cui esistenza rappresenta di per sé un’insidia per le antiche rovine.

A tutto questo si aggiunge la piaga degli scavi clandestini, che nei siti archeologici egiziani ci sono sempre stati, ma che si sono particolarmente intensificati negli ultimi tempi, soprattutto subito dopo la rivoluzione del febbraio 2011.

 

 La Missione Archeologica dell’Università del Salento a Soknopaiou Nesos.

Le mura che circondano l’area sacra a Soknopaiou Nesos / Un ambiente sotterraneo di un edificio.

Nel 2003 la Missione Archeologica dell’Università del Salento in Egitto ha cominciato il suo lavoro di scavo a Dime, l’antica Soknopaiou Nesos, situata ai margini della pseudo-oasi del Fayyum, con l’intento di documentare, scavare e studiare scientificamente uno dei siti più belli e meglio conservati di questa regione. La posizione isolata del sito ha infatti in gran parte contribuito alla conservazione non solo dell’insediamento ma anche del suo territorio, che appare ancora oggi sostanzialmente incontaminato. Questo antico insediamento, che costituisce una delle più importanti fonti di informazione sull’Egitto greco-romano, ha restituito, nel corso di oltre un secolo di razzie clandestine e, in misura molto minore, di scavi ufficiali da parte degli inglesi Grenfell e Hunt e da parte della University of Michigan (1931-1932), ingenti quantità di papiri.

La Missione del Centro di Studi Papirologici dell’Università del Salento, attraverso il Soknopaiou Nesos Project, opera in questo luogo con l’obiettivo, tra l’altro, di documentarne la topografia redigendo una completa ed esaustiva mappatura dell’intero tessuto urbano e del territorio circostante. In undici Campagne di Scavo, la Missione – diretta da Mario Capasso e Paola Davoli e composta da un team internazionale composto da specialisti e studenti – è riuscita a realizzare la planimetria scientifica del centro abitato, rilevando con Total Station tutti gli edifici visibili sulla superficie, e a portare alla luce completamente il tempio dedicato al dio Soknopaios, rinvenendo moltissimi oggetti appartenuti al mobilio del tempio stesso, come statue in pietra e mobili in legno e pietra, decorati con foglia d’oro e paste vitree policrome.

Moltissimi sono stati, in oltre dieci anni di scavo, i reperti rinvenuti, tra cui particolare importanza rivestono, naturalmente, i papiri e gli ostraka: ne sono stati portati alla luce diverse centinaia, vergati in greco, demotico, geroglifico, copto. Tra di essi, particolare importanza rivestono alcuni piccoli rotoli-amuleti, chiusi e legati con fibra vegetale talora sigillata con argilla cruda. Il rinvenimento di questi papiri sembra suggerire che nei pressi del tempio di Soknopaios c’era un centro di produzione e di smistamento – sicuramente gestito dai sacerdoti – di rotoli-amuleti che le persone acquisivano e portavano con sé a scopo apotropaico.