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Ambienti litoranei e planiziali, la flora protetta del Delta del Po - Collezioni

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Quadrifoglio acquatico


Il quadrifoglio acquatico (Marsilea quadrifolia, Marsileacee) è una felce acquatica estinta in provincia di Ferrara. È caratterizzata da un rizoma strisciante e da una foglia composta da 4 foglioline (fronda) che ricorda un quadrifoglio. A maturità produce spore racchiuse in strutture a forma di fagiolo (sporocarpi) per la riproduzione. Cresce in stagni, acquitrini, risaie e talvolta sui fanghi emersi lungo le sponde di canali e fossi.  La presenza del quadrifoglio acquatico nel territorio ferrarese è testimoniata dall’esemplare custodito nell’Erbario Storico Campana (Antonio Campana, 1751-1832). L’Erbario Storico Felisi custodisce esemplari del 1907 raccolti nei canali di Gallo e Portomaggiore. Ad oggi nessuna stazione è confermata. La specie è diventata rarissima e ha registrato un rapido declino in tutto l’areale italiano (Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto e Toscana) e al 2010 si contano circa 25 stazioni. In Europa si rinviene in Spagna, Francia, Svizzera, Germania, nei Balcani e nell’Est Europa. È specie naturalizzata in Nord America (dov’è stata introdotta nella seconda metà del 1800). Tra i principali fattori di minaccia della specie vi sono l’agricoltura (uso intensivo di diserbanti, variazioni delle tecniche di coltivazione del riso ecc.), modificazione degli ecosistemi (pulizia indiscriminata dei canali, erosione delle sponde ecc.), inquinamento delle acque, competizione e predazione da parte di specie animali invasive (nutria e gambero della Louisiana). È considerata un fossile vivente con origine nel Mesozoico.

Eventuali Curiosità: La specie è considerata ad alto rischio estinzione in tutta Italia e rientra nella nuova Lista Rossa della Flora Italiana del Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare (codice IUCN: EN).

Cisto rosso 


Nella collezione dell’Orto Botanico “Flora protetta” è presente anche il cisto rosso. Un tempo denominata Cistus incanus, questa specie è oggi conosciuta con il nome scientifico Cistus creticus subsp. eriocephalus; la famiglia è quella delle Cistacee. Il cisto rosso è un piccolo arbusto di altezza compresa fra trenta centimetri e un metro. L’habitus fogliare è semideciduo: in primavera si sviluppano foglie grinzose e provviste di un tomento bianco che persistono fino alla primavera successiva. Tra aprile e maggio il cisto rosso sviluppa fiori vistosi, di colore rosa e dai caratteristici petali di aspetto “sgualcito”. Durante l’estate si formano frutti secchi che producono una notevole quantità di semi. Specie steno-mediterranea, presente sulle coste dell’intero bacino mediterraneo, ma nettamente più frequente nel settore orientale, il cisto rosso è una specie assai diffusa in Italia: cresce in particolare nella macchia mediterranea (soprattutto nelle boscaglie di alloro) e nelle garighe costiere. Nelle regioni Emilia-Romagna e Veneto è invece rara e inclusa nell’elenco delle specie protette. In Emilia Romagna cresce con una certa abbondanza sui colli del Faentino e del Forlivese ma è molto rara lungo la costa. Le cause che hanno determinato la riduzione delle popolazioni nella nostra regione risiedono nel degrado degli ecosistemi naturali costieri e nella trasformazione del litorale per far posto agli stabilimenti balneari. Nelle aree protette anche la competizione con altre specie invasive a crescita rapida (ad esempio il rovo) può causare un rapido declino delle popolazioni naturali di cisto rosso. Tra il 2003 e il 2005 l’Orto Botanico di Ferrara, in collaborazione con il Parco Regionale del Delta del Po dell’Emilia Romagna e il Corpo Forestale dello Stato, realizzò un programma per lo studio e la reintroduzione in natura della specie. Quasi duecento piantine di cisto rosso, ottenute da seme, furono trapiantate in alcune aree della Riserva Naturale Sacca di Bellocchio, in provincia di Ferrara. Le piante, tuttora in ottime condizioni vegetative, continuano a fiorire e fruttificare. La specie è coltivata nell’Orto Botanico dal 2003. Alcuni campioni essiccati sono conservati nell’Erbario moderno: i primi furono raccolti nel giugno 1979 in una macchia vicina al Lago Trasimeno; altri campioni, raccolti nel 1983 e nel 1994 provengono da dune sabbiose costiere nei pressi di San Giuseppe di Comacchio (FE).

Eventuali Curiosità: la specie è gravemente minacciata con un rischio estremamente elevato di estinzione in natura in base alla Lista Rossa della Flora Italiana del Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare (codice IUCN: CR).

Ibisco litorale


L'ibisco litorale (Kosteletzkya pentacarpos, famiglia Malvacee) è una specie ad alto rischio di estinzione. Pianta erbacea perenne, alta fino a due metri e dai vistosi fiori color rosa-violetto, l’ibisco litorale cresce nelle paludi subsalse del litorale adriatico, lungo le sponde dei corsi d’acqua e in altre zone umide (in particolare negli habitat che ospitano il giunco marittimo e la cannuccia di palude). I frutti sono capsule globose, leggermente schiacciate ai poli, dalla caratteristica forma pentagonale. Un tempo presente in varie regioni italiane, oggi la specie cresce spontanea unicamente negli ambienti costieri di Emilia Romagna e Veneto. Fino a pochi anni fa la si riteneva estinta in Emilia Romagna, ma nel 2012 è stata ritrovata nelle Riserve Naturali del Po di Volano e del Bosco della Mesola, in provincia di Ferrara. La forte riduzione della specie è da attribuire al degrado e alla diminuzione degli ecosistemi in cui essa è presente (per opere di bonifica, costruzioni, trasformazione del territorio, ecc.), alla competizione con specie alloctone invasive, ma anche a fattori biologici intrinseci della pianta, in particolare a un forte decremento della fecondità e fluttuazioni nella produzione di semi fertili le cui cause sono ancora ignote. Diversi esemplari di questa specie sono coltivati ex situ nell’Orto Botanico ferrarese dall’anno 2000. Alcuni campioni essiccati sono conservati nell’Erbario moderno. I primi campioni erano stati raccolti nel luglio 1981 in un canneto del Bosco della Mesola; gli altri campioni provengono da piante coltivate nell’Orto Botanico i cui semi erano stati raccolti lungo il Delta del Po in territorio veneto. Nella primavera 2014 l’Erbario ferrarese, in collaborazione con la Banca del germoplasma dell’Università di Pavia, ha avviato un programma di ricerca per lo studio e la reintroduzione in natura della specie.

Eventuali Curiosità: le piante del genere Cistus producono annualmente un’elevata quantità di semi che garantiscono la ricolonizzazione del suolo nudo in particolare dopo un incendio

Apocino veneto


Un’altra specie presente nella collezione “Flora protetta” dell’Orto Botanico di Ferrara è l’apocino veneto (Trachomitum venetum, famiglia Apocinacee). L’apocino veneto è una geofita rizomatosa, ossia una specie provvista di un particolare fusto sotterraneo, detto rizoma, che ogni anno emette radici e fusti avventizi. La pianta è un piccolo arbusto (l’altezza non supera di norma il metro) con fusti eretti, glabri e arrossati; il rizoma è lungamente strisciante. Le foglie sono strettamente ovate o ellittico-lanceolate, lunghe da 3 a 7 cm e larghe circa un centimetro. I fiori sono raggruppati in infiorescenze terminali a pannocchia. La corolla, campanulata e piuttosto piccola, è color porpora e compare in estate, tra giugno e luglio. I frutti sono capsule bivalvi con molti semi. Nei litorali italiani la pianta non fruttifica e si diffonde unicamente per via vegetativa tramite i fusti avventizi emessi dal rizoma. La specie cresce in prevalenza nelle steppe aride della Siberia meridionale. L’Italia è il limite occidentale di un immenso areale che parte dalla Manciuria e attraversa steppe e deserti dell’Eurasia e dell’Europa Orientale. L’areale italiano è circoscritto alla costa adriatica da Grado a Cervia (ma nel luglio 2008 è stata rinvenuta una stazione di apocino veneto in una zona retrostante l’arenile di Vieste in provincia di Foggia). La specie è psammofila (“amante delle sabbie”) e il suo habitat naturale è rappresentato da dune litorali consolidate, ambienti retrodunali con microclima steppico e radure sabbiose di pinete costiere. In Italia la specie è molto rara e a serio rischio di estinzione; a nord del Po è distribuita in una zona piuttosto ampia, mentre in Emilia Romagna è presente, nell’unica stazione nota, nelle Vene di Bellocchio del Parco Regionale del Delta del Po dell’Emilia Romagna. La specie è coltivata nell’Orto Botanico di Ferrara dal 2004. Nell’Erbario moderno sono conservati diversi esemplari essiccati: il primo risale al luglio 1981 ed è stato raccolto sulle dune di Punta Sabbioni a Venezia; altri due (maggio 1983 e luglio 2004) sono stati raccolti sulle dune tra la spiaggia di Rosolina Mare (Rovigo) e la foce dell’Adige. L’Erbario storico Felisi contiene un reperto molto più antico: un esemplare raccolto nel 1844 a “littore Veneto” (Lido di Venezia).

Eventuali Curiosità: lo studio dell’Erbario Campana (ancora in corso) ha permesso di ritrovare un esemplare di apocino veneto raccolto al Bosco della Mesola nel 1812, dove attualmente la specie non è più confermata.

Farnia e carpino bianco


La farnia (Quercus robur, Fagacee) e il carpino bianco (Carpinus betulus, Betulacee) formano boschi caducifogli di pianura (boschi di querce e carpini) che in epoca storica erano diffusi in tutta la Pianura Padana, sui terreni fertili destinati attualmente all’agricoltura. Oggi si tratta di piccoli lembi relitti che in provincia di Ferrara ritroviamo nella Riserva Naturale del Bosco della Mesola su dune sabbiose che hanno iniziato a formarsi intorno all’anno 1000. A causa dell’intenso sfruttamento del legname perpetrato nel territorio fino al secondo dopoguerra, le farnie e i carpini che crescono nella Riserva della Mesola hanno al massimo un centinaio di anni. La farnia compare in Europa dopo le glaciazioni del Quaternario (tra 5000 e 7000 anni prima di Cristo) nel periodo vegetazionale denominato Atlantico a partire da aree rifugio attorno al Mediterraneo. Il carpino bianco invece compare in Europa solo nel Subatlantico (periodo caldo recente) attorno al 2800 a.C. Oggi entrambe le specie presentano un vasto areale europeo di distribuzione (maggiore per la farnia) che raggiunge il Caucaso, mentre nell’Italia meridionale tende a ridursi fino alla loro scomparsa. Nell’Erbario Storico Felisi sono custoditi esemplari di farnia del Bosco della Mesola raccolti nel 1839 (e altri non datati dei dintorni di Ferrara) e una tavola del 1848 di carpino bianco. Nell’Erbario Moderno sono presenti una farnia risalente al 1979 (Bosco della Panfilia) e tre tavole di carpino bianco del 1980 (provincia di Belluno), del 1993 (Mura Estensi di Ferrara) e del 1994 (Pineta di Classe, Ravenna). La farnia è albero longevo (500-1000 anni), con chioma ampia, corteccia ruvida con placche rettangolari, foglie lobate, fiori maschili in amenti penduli e femminili ridotti a 3 stigmi, circondati da brattee, che a maturità si trasformano in ghiande peduncolate. Il carpino è albero di media età (200-300 anni) con chioma ovale, corteccia liscia, foglie ovali seghettate, fiori maschili e femminili in amenti; il frutto è una piccola noce circondata da una foglia modificata a tre lobi (la forma del frutto favorisce la dispersione ad opera del vento).

Eventuali Curiosità : la tradizione popolare vuole che Dante, smarrita la via nelle immense paludi del Delta, sia salito sulla centenaria farnia di San Basilio (Ro), nel Delta del Po Veneto che purtroppo è caduta nel 2013. La farnia aveva oltre 500 anni, era alta 26 m e un diametro del tronco di 6,30 m.

Salicornia strobilacea


La salicornia strobilacea (Halocnemum strobilaceum, Chenopodiacee) è un piccolo arbusto perenne più o meno prostrato caratterizzato da fusti ramosissimi e foglie carnose. È una specie altamente specializzata dal punto di vista morfo-fisiologico che le permette di crescere in ambienti salmastri e di tollerare un’alta concentrazione di sali, anche superiore a quella dell’acqua di mare (alofita). La sua distribuzione è quindi legata alla salinità dei suoli e i suoi habitat sono esclusivamente le valli salmastre e le saline. In provincia di Ferrara la specie è rarissima e cresce solo sui dossi rilevati della Salina di Comacchio con un numero limitatissimo di esemplari. È segnalata anche in provincia di Ravenna nella Riserva Naturale delle Vene di Bellocchio. L’Erbario Moderno custodisce esemplari del 1993 provenienti dai dossi della Salina di Comacchio. Il genere Halocnemum è distribuito nel bacino del Mediterraneo fino all’Asia occidentale dove diventa dominante nei deserti salati (es. Cina nord-occidentale). Molto probabilmente l’area di diffusione della salicornia strobilacea nel Delta del Po è legata al periodo geologico Messiniano (circa 6 milioni di anni fa) quando la chiusura dello stretto di Gibilterra determinò un aumento dell’evaporazione e una maggiore concentrazione della salinità nel Mar Mediterraneo con la conseguente espansione della flora alofila.

Eventuali Curiosità: La specie, al momento è oggetto di studio tassonomico in quanto facilmente confondibile con H. cruciatum.

Leccio 


Il leccio (Quercus ilex, Fagacee) è una quercia sempreverde caratterizzante la macchia mediterranea (lecceta). È un albero tipico del clima mediterraneo che ritroviamo sulle coste del centro-sud Italia e nelle isole. Importante è la sua presenza in provincia di Ferrara con boschi esterni alla normale area di diffusione (boschi extrazonali): Bosco della Mesola e Bosco di Santa Giustina, dove cresce su antiche dune sabbiose in condizioni anche di forte aridità. È albero longevo (fino a 1000 anni) con chioma globosa, corteccia in scaglie poligonali, foglie coriacee lucide sulla pagina superiore e grigio-pubescenti in quella inferiore. Nell’Erbario Storico Felisi è presente una tavola non datata, ma con ogni probabilità risalente ai primi del Novecento perché raccolta da Antonio Ferioli, capo giardiniere dell’Orto Botanico dell’epoca. La presenza nel Ferrarese del leccio (e nell’Italia settentrionale) risale probabilmente alle oscillazioni climatiche del Postglaciale, quando nei periodi più caldi le specie mediterranee risalivano la penisola verso nord per poi ridurre nuovamente il loro areale nei periodi più freddi lasciando alcune stazioni relitte isolate.

Eventuali Curiosità: il leccio, come le altre latifoglie, vive in simbiosi con diverse specie fungine e la lecceta del Bosco della Mesola ne è particolarmente ricca con un’elevata diversità di specie tra cui russule, boleti, tartufi, lattari e amanite.

 


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